Gli Eurobond spaccano Bruxelles, manca la fiducia - Diritto di critica
- Sirio Valent+
- 25 Novembre 2011 Aggiungi questo articolo al tuo Magazine su Flipboard
Monti, Sarkozy e Merkel. A Bruxelles i guai italiani si confondono nel vero braccio di ferro tra euroscettici e revanscisti, velatamente ai ferri corti sul tema eurobond. Due visioni diverse si contrappongono nella capitale Ue: la federazione monetaria di Angela Merkel, figlia della sfiducia degli “onesti”, e la grande alleanza finanziaria di Sarkozy, colonna portante della nuova Potenza Europea. Il premier italiano si colloca in mezzo, proponendo un passo alla volta. Per arrivare dove?
L’eurobond è soltanto una cambiale. Un foglio di carta su cui lo Stato promette un interesse a chi gli presta denaro. Solo che in questo caso lo Stato è l’intera Unione Europea, il denaro prestato va a finanziare tutti i debiti sovrani dei Paesi membri e la carta materialmente usata è la credibilità dell’economia tedesca. Il rischio è intuibile: mentre i Paesi “onesti” lavorano, pagano le tasse e tengono i conti in ordine, i “furbi” possono lasciar crescere il debito. Tanto sta tutto in famiglia, e tutto si nasconde nel gruppo.
E’ questo il chiodo fisso della Merkel: ha per le mani i sondaggi delle prossime elezioni,che attribuiscono ai tedeschi “incazzati” la forza elettorale principale. Euroscettici, convinti di essere gli unici virtuosi d’Europa e spaventati dalle cicale mediterranee, i tedeschi hanno paura di mettere il debito in comune. Meglio mantenere una sana distanza – e mille controlli – tra onesti e furbastri, facendo pagare chi sbaglia. Le storie di Grecia ed Italia rafforzano questo punto di vista, facendo dimenticare ai tedeschi quanto la Germania ha guadagnato dall’entrata nell’euro.
Sull’altra sponda del Reno, c’è la Francia con le sue aspirazioni alla grandezza. Sarkozy vuole un’Europa potente, guidata da un Eliseo ancor più potente, da collocare a metà strada tra America e Cina – meglio se sopra a entrambe. Per farlo, l’unica vera scelta è completare la fusione delle 27 aziende-paese europee, per creare un colosso finanziario mai immaginato. Le pecore nere, pensa, spariranno nella massa delle bianche, e saranno tutte grigie.
L’Italia di Monti è a metà del guado. Ha bisogno, nell’immediato, del rigore fiscale preteso dalla Merkel: ma sul lungo termine, non può evitare l’attrazione di un paracadute internazionale alle proprie debolezze. Perché le misure lacrime e sangue potranno forse essere sopportate per un paio d’anni, cinque al massimo: ma oltre, l’impulso del tutto umano a liberarsi delle regole e tornare a spendere sarà inarrestabile. Specie tra i politici. E quindi SuperMario rinvia.
Solo Barroso sembra aver fatto una scelta “super partes”. “Se non rafforziamo il governo dell’Eurozona – avverte il portoghese -, verrà un tempo in cui sarà difficile, se non impossibile, sostenere l’euro”.
Forse si potrebbe chiedere agli europei cosa vogliono, in tema di finanza. Un bel referendum della popolazione di 27 stati membri, per decidere se l’Europa deve diventare un’Unione Fiscale e Finanziaria, o restare soltanto Monetaria. O cambiare volto completamente. D’altronde, sono proprio le persone – quei 492 milioni di cittadini, che con le proprie tasse e il proprio lavoro costruiscono un Pil da 14mila miliardi di euro l’anno – a fare l’Euro. Perché non dovrebbero dire la loro?
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