Da ago della bilancia a grande sconfitto, il Senatùr pugnalato da Finiani e Responsabili - Diritto di critica
L’ANALISI – L’ordine è quello di riaprire gli armadi, rispolverare i vecchi slogan del celodurismo leghista e far girare i chiavistelli del Parlamento Padano, da tempo finito in naftalina. Dopo anni di patti e accordi con “Roma ladrona”, il Carroccio piomba come un macigno nello stagno delle “opposizioni”. Opposizioni a cosa? Non al vecchio alleato, Silvio Berlusconi, ma ad un governo tecnico che ancor prima di partire già si regge su gambe incerte. Una trovata ben poco celodurista. Anzi. Ma non importa a chi si faccia opposizione – se a un gruppo di professori o all’alleato di sempre, il tycoon delle televisioni – l’importante è che gli elettori si bevano la filastrocca della nuova linea del partito guidato da Umberto Bossi. L’ordine per i fidati militanti è solo uno: voltare pagina. Da domani si torna a urlare contro “Roma ladrona”, contro il governo dei banchieri e degli azzeccagarbugli. In poche parole: la Lega è già in campagna elettorale.
Davanti a un drammatico calo di consensi dovuto a un partito avvertito come troppo affezionato alla cadrega di Romaladrona, il Carroccio è costretto a correre ai ripari. Non con riforme interne al partito né attraverso un rinnovamento della classe dirigente ma con uno smacco intellettuale agli elettori. L’impressione, infatti, è che con questa mossa a sorpresa del “ritorno all’antico”, Umberto Bossi e il suo entourage considerino i propri militanti come carne da urna, incapaci di elevarsi al di sopra degli slogan celoduristi e fucilieri, quasi fossero ottuse creature a cui bastasse far annusare uno zuccherino per farle tornare a votare il partito del padrone.
Eppure, il carillon sembra essersi inceppato. I fazzoletti verdi, il dito medio stancamente alzato e le vecchie cantilene secessioniste potrebbero non bastare più. Gli elettori leghisti, infatti, hanno ben capito di che pasta sono fatti i loro rappresentanti. Così come hanno compreso le dinamiche interne e il fine ultimo della posizione della Lega nei confronti della riforma elettorale: gli uomini di Bossi devono averla vinta sui maroniani, epurando qualsiasi nome scomodo al momento della scelta dei candidati. E questo significa liste bloccate. In una parola: Porcellum.
Nell’ultimo anno, quella della Lega è stata una parabola discendente, tenuta in piedi dall’illusione malata di poter condizionare la politica del governo all’interno di una coalizione colabrodo. La posizione dominante di Bossi, infatti, è stata intaccata prima dalle defezioni dei finiani poi dall’arrivo dei Responsabili di Scilipoti: da ago della bilancia, il Senatùr ha iniziato ad essere vittima dei giochi di Palazzo insieme al premier, annaspando in una palude politica con ben poche amache a cui aggrapparsi. Nell’incapacità di gestire la crisi interna ed esterna al partito e in un disperato tentativo di restare a galla, il Carroccio ha progressivamente perso credibilità. E ora si trova a dover rispolverare vecchi feticci, buoni per un carnevale, non certo per fare politica.
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L’analisi è errata. Al Nord da vent’anni siamo stanchi dell’Italia, non ci sentiamo italiani e non vogliamo averci più nulla a che fare. Vogliamo parlare le nostre lingue, curare la nostra cultura, studiare la nostra storia e sopra a tutto non vogliamo più essere rapinati con le tasse esose che l’Italia ci impone.
Abbiamo storto il naso per l’alleanza con Berlusconi, la rinuncia alla secessione. Eravamo certi che il gioco non valeva la candela e non avremmo portato nulla a casa, come è accaduto, manco il federalismo ci hanno dato.
Ora che si è dimostrato che avevamo ragione finalmente si torna al vecchio sentiero e a rispettare i sentimenti del nord, si torna alla secessione, finalmente. -
Vi siete contati? Dico – uno per uno – OK. Allora prendete le valigie e andatevene pure. Fuori dall’Italia. Visto che evidentemente non vi siete accorti che al Nord abitano in prevalenza gli Italiani.
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