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Diritto di critica | December 18, 2024

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Dieci anni di Afghanistan, morti e distruzioni per proteggere i papaveri? - Diritto di critica

Dieci anni di Afghanistan, morti e distruzioni per proteggere i papaveri?

Dieci anni fa. In questa settimana del 2001, le forze armate americane invadevano il territorio afghano dando inizio a una lunga e sanguinosa guerra che tutt’ora non riesce a conoscere la parola fine. Secondo l’amministrazione Bush inizia tutto per sradicare i terroristi rinchiusi in Afghanistan dopo l’attacco alle torri gemelle dell’11 settembre. Mentre, secondo il parere degli gli oppositori, è una questione tutta economica e di potere. Nelle loro interpretazioni ci sono più o meno sfumature ma la questione centrale sarebbero le ricchezze. C’è chi crede in una operazione pianificata prima degli attacchi a New York e Washington, chi allo scopo americano di avere una presenza militare in un’area strategica vista la vicinanza con la Cina, Iran, Pakistan, India ed ex repubbliche sovietiche.

In questi ultimi anni sta prendendo piede un’altra interpretazione che vede la guerra incentrarsi tutta sulla questione dell’oppio. L’Afghanistan è il maggior produttore mondiale, con circa il 90% della produzione totale (93% secondo i dati del 2007) dichiara un rapporto di politica internazionale a cura dell’ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale). La coltivazione di papavero da oppio riveste dunque un ruolo centrale nell’economia del paese: nel 2008 il totale dei proventi dei coltivatori è stato di circa 732 milioni di dollari, pari al 7% del Pil dell’Afghanistan. Dopo l’invasione del 2001 la produzione e lo smercio di oppio afgano sono ripresi a livelli mai visti. “Nella storia dell’Afghanistan, il 2007 ha registrato il record di produzione di oppio sia sul piano della superficie adibita alla coltivazione di papavero sia sul piano della quantità prodotta” sostiene il rapporto. Non solo Eroina. In una relazione del 2010 diffusa dall’ufficio delle Nazioni Unite per la lotta al crimine a alla droga (Unodc) si legge che “sebbene altri Paesi abbiano coltivazioni di hashish anche più estese, il raccolto straordinario di cannabis ha reso l’Afghanistan il più grande produttore al mondo di hashish“.

Wayne Madsen, un giornalista investigativo che opera a Washington DC, da tempo sostiene che è la CIA il controllore, oltre che il gestore, del traffico sulle grandi coltivazioni di oppio nel territorio afghano. “Non sono semplicemente eroina e oppio a venir fuori dall’Afghanistan ma anche cannabis, quindi pare che abbiamo trovato una nuova coltivazione da cui ricavare denaro”. Per il giornalista le donne afghane lavorano per conto della CIA nella raccolta della droga. Questa eroina “viene trasportata attraverso il confine in Tagikistan e da lì si diffonde a macchia d’olio”. Chi è coinvolto in questo traffico illecito? Secondo Madsen e non solo, è il fratello del presidente Afghano Hamid Karzai, “uno dei più importanti signori della guerra legati alla droga in Afghanistan”.

IL SONDAGGIO

Nell’arco di un anno, attraverso un sondaggio di CBS News, gli americani hanno risposto ad alcune domande sulla guerra. Si è chiesto loro se il conflitto afghano è stato un successo per gli americani. Nonostante siano quasi tutti d’accordo sulla guerra al tempo di Bush, il 50% del popolo americano ha risposto che la guerra è stata una sconfitta, solamente il 39% è contento dell’operato delle forze Isaf. Alla domanda se le forze Usa devono essere diminuite, il 62% risponde di sì. Il sondaggio ha rilevato che la maggioranza del Paese pensa che la guerra si è protratta più del previsto.

In Afghanistan ci sono 90mila truppe americane, e il presidente Obama prevede di ritirarne circa un terzo entro la prossima estate. Una conferenza della NATO a Lisbona ha fissato la data di fine guerra nel 2014, senza perdere il controllo del paese. Scoccata l’ora, gli Stati Uniti dovranno consegnare la responsabilità della sicurezza al governo afghano, mantenendo stabilmente nel paese basi e uomini con funzioni di supporto e addestramento alle forze armate locali.

CONTINUA LA GUERRA

Nonostante le chiacchiere nei talk show e nei meeting internazionali, in quella terra si continua a morire. Il conflitto ha maturato circa 50 mila morti: quasi 2 mila soldati Nato, almeno 27 mila guerriglieri, 14 mila civili e 7 mila militari afgani. Il 2010 è stato l’anno record per le vittime civili. A sostenerlo è il rapporto dell’Organizzazione Afghanistan Right Monitor. Nell’arco dell’intero anno“2.421 civili afghani sono stati uccisi e oltre 3.270 sono rimasti feriti in incidenti legati al conflitto in atto in tutte le regioni del paese, e questo significa che quotidianamente 6-7 persone non implicate nei combattimenti sono morte e 8-9 sono rimaste ferite” dice il report.

Il 2010 potrebbe essere superato dalle statistiche del 2011. L’Ansa il 28 settembre del 2011 riportava un rapporto dell’Onu presentato al consiglio di Sicurezza e faceva notare che l’Afghanistan è sempre meno sicuro. Anche quest’anno, nei primi 8 mesi del 2011 sono aumentati del 40% gli episodi di violenza rispetto allo stesso periodo del 2010, con un aumento del 5% delle vittime civili durante i mesi estivi degli anni precedenti. Nei primi sette mesi dell’anno, dice il report, “circa 130mila persone sono state costrette a lasciare le loro abitazioni per le violenze”, sono coloro che una volta arrivati in Europa, chiamiamo clandestini.

A due settimana dall’omicidio dell’ex presidente Burhanuddin Rabbani, che guidava i negoziati come capo dell’Alto Consiglio per la Pace, il presidente dell’Afghanistan Hamid Karzai nelle ultime ore ha ribadito che non intende più dialogare con i talebani. Karzai ha denunciato che il suo governo non è riuscito a compiere progressi nei negoziati con i Talebani, affermando che gli insorti sono controllati dal Pakistan. ”Il governo del Pakistan non sostiene i nostri sforzi per portare la pace e la sicurezza in Afghanistan”, ha detto Karzai nelle ultime ore, proprio alla vigilia di una visita al più grande nemico del Pakistan, l’India.

Chi conosce bene l’Afghanistan è Emergency di Gino Strada che nel Paese è presente dal 1999. “Da quando le guerre sono chiamate missioni di pace si è generata una confusione drammatica tra popolazione e combattenti che crea problemi alla cooperazione” dice Cecilia Strada, Presidente di Emergency.

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