LinkedIn vola in Borsa, bolla speculativa in arrivo? - Diritto di critica
LinkedIn entra in borsa e scoppia l’euforia: il prezzo sale del 30% in poche ore e gli esperti lo quotano come l’affare del secolo. Ma perché vale tanto un network sociale che riunisce i professionisti? Il segreto è nelle Risorse Umane, dove i manager cercano dipendenti analizzandone comportamenti, tendenze, idee. LinkedIn fornisce tutto questo, “vendendo” i profili lavorativi degli iscritti. Il rischio di bolla speculativa ritorna.
Il Facebook dei Professionisti, considerato una specie di copia noiosa del social network più famoso del mondo, si prepara a volare. Oggi ha debuttato a Wall Street con un successo incredibile: da 32 dollari ad azione, il titolo è stato venduto a 45 dollari soltanto due ore dopo l’apertura delle contrattazioni. Un entusiasmo che non si vedeva dal 2004, quando Google scese nell’arena finanziaria. Lo scopo di Reid Hoffmann, cofondatore di LinkedIn, era di raccogliere sul mercato 175 milioni di dollari: se ne è trovati in tasca 358 e mezzo, oltre alla lusinghiera valutazione di 4,2 miliardi di dollari complessivi in caso di vendita.
Wall Street è eccitata dalle “infinite” possibilità di guadagno dei social network, e si prepara ai piatti forti. Presto sarà la volta di Facebook (quotato 55 miliardi di dollari – grazie a oltre 500 milioni di utenti contro i “pochi” 70 milioni di LinkedIn) e Twitter (6 miliardi di dollari), valutazioni che sembrano annunciare una nuova bolla speculativa sui titoli Internet. Che rischia però di gonfiarsi sul nulla.
Il core business di queste aziende, in soldoni, è vendere profili: gli iscritti al social network, oltre a diventare “consumatori” di pubblicità personalizzate e riempimento delle banche dati, entrano automaticamente nelle liste di “desiderabilità lavorativa”. Le aziende che cercano personale si abbonano ai servizi di LinkedIn e “comprano” l’accesso a queste liste, e vanno a cercare i dipendenti che gli interessano. In base a cosa si sceglie? Tutto. LinkedIn estrae dai profili degli iscritti molto di più di quanto essi non scrivano: reti di amici, orientamenti politici e sessuali, scelte di consumo, preferenze varie. E tutte concorrono, in modo non ben identificato, a determinare la scelta di convocazione da parte dell’azienda.
Il mercato sembra apprezzare molto questi servizi: nel caso di LinkedIn, gli investitori sembrano disposti a valutare la società a un prezzo equivalente a 11,3 volte il fatturato stimato e 258 volte i profitti del 2010. Come dire che stanno scommettendo 100 dollari contro i dieci promessi dal banditore d’asta. E pensare che la società si limita a “fare la spia” tra dipendenti potenziali e manager: cosa succede se si scopre che è una bufala?
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