Image Image Image Image Image Image Image Image Image Image

Diritto di critica | November 22, 2024

Scroll to top

Top

Belay Yeabsera, un piccolo “dono di Dio” nella desolazione di Lampedusa - Diritto di critica

Belay Yeabsera, un piccolo “dono di Dio” nella desolazione di Lampedusa

Dieci minuti nel porto di Lampedusa sono una piccola cosa; abbastanza tempo per vedere la sua condanna ma non la sua bellezza, per intuire l’infinita trasformazione di quel litorale figlio di millenni e la posta giornaliera del suo carico di anime inzuppate di lacrime. Sono appena arrivati sull’isola, uomini ammucchiati dentro barche piccolissime, sepolti, sotto tumuli di altri uomini. Alcuni hanno le scarpe in mano, posano mesti, eppure gli occhi tradiscono il bisogno di vivere. Già, vivere. Altri non hanno questa fortuna. Così scalzi (e così giovani) nella loro uni-dimensionalità aggiornatissima, leggono la preziosa calligrafia della corrente che li ha condotti qui, adesso, dove assaporeranno l’illusione che il miracolo è possibile. Hanno dato le spalle ai compagni morti, alle donne, ai bambini che in quella distesa azzurro-tenebra si sono smarriti, mentre la luce bianca della luna trasloca dentro il tramonto.

La cronaca di queste settimane è stata terrificante ed onesta ma, in mezzo a tanta disperazione, abbiamo avuto il tempo di gioire per una bella storia raccontata a 100 News Network da un operatore di Save the Children che si trovava sul luogo.

Il bambino si chiama Belay Yeabsera, che Tareke ha tradotto per tutti in “Dono di Dio“. Il nome, vista la loro vicenda, lo ha scelto la mamma che è credente. Tareke si è chiesto: ma perché il bambino non può avere un certificato di nascita? E così si è impuntato, fino a quando, qualche giorno fa, mi ha detto: “aspetta, passiamo a vedere se il certificato è pronto. Uscendo dal piccolo ufficio comunale di Lampedusa, Tareke, il papà del piccolo ‘Dono di Dio‘ , aveva nelle mani il certificato che ci ha fatto sorridere e forse un po’ anche commuovere, di nuovo, tutti. Recita così: “Belay Yeabsera è nato in un luogo imprecisato a circa 20 miglia a sud di Lampedusa“. E’ la prima volta che ci capitava di leggere un luogo di nascita simile. Ve la raccontiamo oggi (giovedì 7 aprile, ndr) questa storia, una storia che è un inizio per Yeabsera, perché quella notte c’è stato un terribile naufragio in cui hanno perso la vita centinaia di persone, tra cui anche diversi bambini, piccoli come Yeabsera che purtroppo, stavolta, non ce l’hanno fatta. Anche questo giro si trattava di un barcone partito dalle coste africane e di migranti che provengono da paesi di guerra, che hanno vissuto nuovamente il conflitto e forse, come tanti di quelli giunti nei giorni scorsi dalla Libia, hanno subito violenze e abusi in centri di detenzione, per anni. Sono solo una cinquantina i migranti arrivati a Lampedusa, sopravvissuti al naufragio. Le loro storie, sentite dagli operatori umanitari, sono davvero terribili.

Ve la raccontiamo oggi questa storia, perché oggi è un giorno triste ma anche un traguardo, nell’intensità degli eventi della crisi.  Il nostro team ha scortato all’imbarco in due aerei 172 minori non accompagnati. Sono partiti da Lampedusa dopo giorni estenuanti, in cui abbiamo chiesto ripetutamente e incessantemente di farli uscire dall’isola. Erano gli ultimi di un gruppo di 350 bambini, rimasti lì per quasi due settimane. Era necessario trasferire tutti in tempi rapidi. Non è stato fatto. E così i ragazzi e i bambini, anche di 12 anni, per giorni hanno vissuto in situazioni che abbiamo giudicato ben al di sotto degli standard minimi.

“Ho le scarpe rotte, posso averne di nuove ?”, ci ha chiesto Tayib (“buono”, in lingua araba), che dice di avere 13 anni ma sembra molto più piccolo. E quando gli abbiamo dato delle scarpe bianche con le stelle rosse sorrideva. “Così, forse, divento anche io una stella”, ci ha detto.

A Lampedusa sono scoppiate rivolte, dimostrazioni, la tensione è stata alta per giorni. Centinaia dei minori sono spariti. Loro non chiedevano altro che partire. “Vogliamo andare via di qui o diventiamo matti” ci hanno detto. La loro storia non è ancora a lieto fine. E il nostro impegno non è ancora finito. Il team di Save the Children in Sicilia questa sera li ha già accolti a Porto Empedocle (Agrigento) e insieme, faremo il possibile, pretenderemo che ognuno di loro trovi un posto di accoglienza adeguato in Italia. Ho scritto tutto ciò perchè l’arrivo di Yabsera, il dolore per chi non è arrivato mai, la partenza dei 170 minori che per giorni hanno lottato per un futuro, la speranza di diventare una stella di Tayib, sono storie di vita che penso vada la pena condividere. Perché in fin dei conti (noi tutti, in modi diversi) è per bambini e ragazzi come loro che facciamo parte della famiglia di Save the Children.