Poveri e disoccupati, perché i giovani marocchini non si ribellano? - Diritto di critica
Miseria, ineguaglianze sociali, disoccupazione giovanile, corruzione, assenza di democrazia. Sono tutti gli ingredienti che servono per accendere la miccia della rivolta in Marocco. Tuttavia, per ora, le autorità marocchine mostrano tranquillità, sostenendo che il Paese sta già vivendo un irreversibile processo di democratizzazione e che la libertà d’espressione esiste, ma guai a toccare la monarchia, la religione e la Shari’a.
I mali comuni. Le rivolte popolari che hanno determinato la caduta del regime di Ben Ali in Tunisia e di Mubarak in Egitto hanno messo in evidenza due difetti comuni ai due despoti del mondo arabo: la cupidigia e l’autoritarismo. Lo svolgimento pacifico ed ordinato delle manifestazioni che si sono avute in Marocco lo scorso 20 febbraio e la stabilità del Paese sembrano accreditare la tesi dell’esistenza di una “eccezione” marocchina. In realtà, il paese nordafricano condivide gli stessi mali degli altri regimi arabi. In questo caso, però, le critiche sollevate dall’opposizione non sono rivolte alla persona del capo dello Stato ossia il re, quanto all’organizzazione istituzionale. Non è il regime ad essere messo in discussione. Le rivendicazioni su Facebook si riferiscono alla giustizia sociale e si estendono alla politica. Il popolo reclama una monarchia parlamentare. Sono la mancanza di separazione tra i poteri, l’iniqua distribuzione delle ricchezze e la corruzione i punti fermi dei manifestanti.
Una democrazia di facciata. Dietro un’apparente democrazia, il sistema politico marocchino in realtà è una monarchia autocratica che dirige e controlla quasi ogni cosa. Ingannevole l’adozione nel 1996 di una Costituzione (adottata con il 99% dei voti favorevoli espressi tramite referendum) che dichiara “Il Marocco è una monarchia costituzionale, democratica e sociale” e che “i cittadini dispongono di libertà d’opinione e d’espressione salvi i casi di limitazioni previste dalla legge”. È vero anche che le ultime elezioni legislative sono state libere ed i risultati riflettevano l’effettiva volontà popolare dando inizio al multipartitismo. È inoltre vero che ci sono parecchie emittenti radio, canali televisivi e giornali nel Paese e che tutto ciò permetterebbe di affermare che i principali criteri democratici sono soddisfatti. In realtà si tratta di una democrazia di facciata. Il potere è nelle mani di un solo uomo, il re. I media nazionali non possono esprimere pareri su di lui. Le critiche sono punite con salatissime multe che hanno lo scopo di asfissiare finanziariamente chi le ha fatte. Blocco dei conti bancari, interdizione dell’esercizio della professione di giornalista, privazione della pubblicità, sono solo alcuni dei metodi adottati in questi casi. Ai sensi della Costituzione poi, il re è capo dello Stato, delle Forze Armate e dei credenti. La monarchia marocchina è quindi una monarchia di diritto divino. Il re dispone di un ampio potere: nomina e revoca in modo assolutamente libero e discrezionale il primo ministro, i ministri, gli ambasciatori, i dirigenti della pubblica amministrazione e le autorità amministrative. I politici eletti o nominati non hanno la possibilità di scegliere la politica da condurre. Gli orientamenti e gli obiettivi da perseguire sono infatti decisi dal sovrano. Il governo esegue le direttive reali e il capo di Stato ha inoltre il potere di sciogliere le camere del Parlamento, promulgare leggi e chiedere il riesame di un progetto di legge. La monarchia controlla anche l’economia nazionale attraverso numerose imprese, banche, holding (soprattutto l’ONA) e compagnie di proprietà della famiglia reale.
L’annuncio di una riforma costituzionale. Quando il sovrano è giunto al potere 12 anni fa all’età di 36 anni, era considerato un sostenitore della modernizzazione, coraggioso e determinato. Un uomo che ha permesso numerosi progressi per ciò che concerne i diritti delle donne. Il re, non volendo rinunciare a questa sua immagine ha deciso mercoledì scorso di annunciare una riforma costituzionale che prevedrebbe un rafforzamento del ruolo del Parlamento, un primo ministro effettivamente alla guida dell’esecutivo. Non sarà più solo il monarca ed il suo entourage a decidere la politica nazionale. Si tratta quindi di un’importante revisione costituzionale, una grande novità per un popolo fortemente conservatore, che permetterebbe a Mohammed VI di placare le proteste. Bisognerà vedere se la popolazione marocchina sarà disposta ad accettare l’offerta reale di una “rivoluzione tranquilla”. La monarchia spera di poter contare sulla grande legittimità di cui beneficia. Tuttavia, le rivolte arabe degli altri stati stanno dimostrando che ciò potrebbe essere insufficiente quando un popolo lotta animato non tanto dall’amore per la libertà quanto dalla fame e dalla povertà.