Usura: così le organizzazioni criminali assorbono le aziende lombarde - Diritto di critica
- Erica Balduzzi+
- 23 Febbraio 2011 Aggiungi questo articolo al tuo Magazine su Flipboard
«Nel 2010 a Milano e provincia sono stati rilevati 20.000 casi di usura: in tutto l’anno nella zona ci sono state solo 5 denunce»: queste le parole di Frediano Manzi, presidente dell’associazione Sos Racket e Usura, intervistato da Diritto di Critica.
Un dato tragico, ma in linea con le stime a livello nazionale: poche centinaia di denunce a fronte di circa 625.000 i casi di usura nel 2010. Un dato al quale bisogna aggiungere anche quello relativo ai suicidi: lo scorso anno più di duemila persone si sono tolte la vita perché in difficoltà economiche pesanti o perché in mano agli usurai, contro le milleseicento del 2009. Al primo posto per quanto riguarda il racket dell’usura c’è la Lombardia, in cui ogni anno vengono registrati tra i sessantamila e i novantamila casi, seguita da Campania, Lazio e Sicilia. «Nel Nord – prosegue Manzi – l’usura assume caratteristiche diverse rispetto al Sud: se al Sud le criminalità organizzate scelgono metodi come la minaccia o la violenza per entrare in possesso delle attività commerciali o imprenditoriali alle quali sono interessate, al Nord utilizzano l’usura per “assorbire” le aziende in difficoltà». Un copione che si ripete: l’imprenditore in crisi accetta il prestito con tassi di interesse molto alti – che al Nord vanno dal 10 al 20% al mese, aumentati se poi il prestito non viene estinto nei tempi previsti – e di fatto l’azienda passa in mano alle organizzazioni criminali. «Un modo comodo per riciclare moltissimo denaro: l’imprenditore infatti rimane comunque intestatario dell’azienda».
Gli usurai entrano in contatto con i ‘clienti’ prevalentemente tramite tre canali, primo tra tutti i web, dove proliferano stazioni pubblicitarie illegali per il prestito di denaro: nella maggior parte dei casi si tratta di siti che indicano come recapiti soltanto un numero di cellulare o un indirizzo di posta elettronica. «Su Internet ci sono all’incirca ventimila siti di questo tipo, – spiega Manzi – ognuno dei quali è seguito da seicento, settecento persone circa». Altri canali sono le banche e i commercialisti, per cui si parla di ‘usura indotta’: funzionari di banche o impiegati contabili, conoscendo nel dettaglio la situazione economica reale dei propri clienti, li mettono in contatto con “amici” dai quali ottenere i prestiti. «Gli stessi usurai – continua Manzi – si possono dividere in tre categorie: quello “della porta accanto”, non legato ad alcune giro criminale che presta denaro a tassi usuranti esclusivamente per un guadagno personale, quello “di quartiere”, in contatto con piccoli gruppi criminali locali solitamente dediti allo spaccio ma che vede nell’usura un’attività meno rischiosa, e quello legato alle organizzazioni criminali».
Alla base delle mancate denunce ci sarebbe l’omertà di una Lombardia sempre più in mano alle criminalità organizzate – tant’è che nel 2010 si sono registrate più denunce di usura a Palermo che non a Milano – e una profonda sfiducia nelle istituzioni e nello Stato. La legge attuale prevede infatti che ai fondi anti-usura possa accedere soltanto chi è in possesso di partita IVA, «escludendo quindi dipendenti, operai o casalinghe – specifica ancora Manzi – che, colpiti dalla crisi economica, si rivolgono agli usurai anche per piccole cifre, ad esempio per pagare una rata del mutuo». Un dato non indifferente, se si considera che sul numero totale di persone strette nella morsa dell’usura ‘solo’ 225.000 sono commercianti o imprenditori con partita IVA: in questo modo circa quattrocentomila persone rimangono escluse dai fondi statali. «Anche tra quelli che vi possono accedere – prosegue Manzi – la situazione non è molto più facile: i fondi vengono infatti erogati dopo tre o cinque anni, quando praticamente non servono più a nulla».
Tempi rapidi e accessi ai fondi per tutti, questo chiede la Sos Racket e Usura allo Stato: «c’è però un preciso interesse statale a non migliorare la situazione. – spiega Manzi – I fondi devono infatti essere restituiti e se un imprenditore ha la possibilità, una volta rimessa in sesto l’azienda, di rendere i soldi ricevuti, lo stesso non si può dire di una casalinga o di un pensionato. Fino a quando l’usura non sarà percepita come una vera piaga sociale – conclude – sarà difficile combatterla in modo decisivo».
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