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Diritto di critica | November 27, 2024

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Cina: la censura del governo si abbatte anche sui social network - Diritto di critica

Cina: la censura del governo si abbatte anche sui social network

Non si placa la censura del governo di Pechino sui blog o i social network che trattano argomenti indigesti al regime cinese. Temi come l’indipendentismo del Tibet, l’anniversario della repressione di piazza Tienanmen, il movimento spirituale di Falun Gong, sono fortemente osteggiati dalle autorità, che ne limitano la diffusione su internet.

Ultimo caso è quello dell’editorialista del New York Times Nicholas Kristof, che ha aperto a fine dicembre scorso un account su ‘Sina Weibo’, un servizio che, come Twitter, permette di condividere brevi messaggi di testo sulla rete (140 caratteri ndr). Il giornalista americano, vincitore di due premi Pulitzer, si è visto censurare nel giro di un’ora dalla pubblicazione i primi messaggi sul Falun Gong, il movimento spirituale fondato nel 1992 dal religioso cinese Li Hongzhi.

A prima vista la scure della censura cinese pare si sia abbattuta anche sul web 2.0 cinese, evoluzione ‘sociale’ del World Wide Web. I siti internet d’oltremare che sono ritenuti ‘sensibili’, tra cui You Tube, Facebook e Twitter, sono bloccati anche da una rete di controllo interna, chiamata ‘Great Firewall of China’. Anche in un paese che ha abbracciato i social network, gli internauti non riescono a comunicare liberamente a causa della censura governativa.

Recentemente lo scienziato informatico cinese Fang Binxing, ritenuto il padre-fondatore del Great Firewall of China e presidente della facoltà di Poste e Telecomunicazioni dell’Università di Pechino, è stato fortemente contestato dagli utenti del blog Sina Weibo, per il suo ruolo determinante nella costruzione di un sistema informatico di censura del web. “Cerchiamo di gettare mattoni contro Fang Binxing il più rapidamente possibile”, è stato uno dei messaggi postati sul microblog Weibo.

La situazione in Cina sta degenerando. Le autorità sono preoccupate per il diffondersi della protesta online, come già successo nei giorni scorsi in Tunisia ed Egitto. Per anni il partito comunista ha cercato di trovare un equilibrio tra l’accesso a internet per fini commerciali ed ‘educativi’ e la limitazione su contenuti che veicolano temi come la libertà, la democrazia e l’indipendentismo.

Nei giorni scorsi le autorità cinesi hanno oscurato i siti internet che riferivano delle proteste arabe ed hanno bloccato alcuni risultati della parola ‘Egitto’ nei motori di ricerca.

Il controllo è gestito anche previa minaccia di licenziamenti e arresti. Nonostante i gli ammonimenti dell’ex presidente degli Stati Uniti Bill Clinton a proposito della censura sul web, la Cina si è dimostrata abile nell’oscurare il dissenso.

Le potenzialità della comunicazione su internet, in un paese che conta più di 457 milioni di internauti, sono infinite. Non stiamo assistendo ad una rivoluzione – sostiene Xiao Qiang, direttore del China Internet Project dell’Università di Berkeley in California – ma la partecipazione politica ha compiuto un grande passo in avanti grazie ai social network”.

Il web 2.0 si è sviluppato in Cina a cominciare dal febbraio del 2009, quando Twitter permise la diffusione di brevi messaggi di testo per documentare l’esplosione di una fabbrica di fuochi d’artificio illegale nei pressi della televisione di stato CCTV. In quell’occasione il social network creato da Jack Dorsey (Twitter in Italia fu il primo media a comunicare il terremoto dell’Aquila ndr) permise a migliaia di testimoni per le strade di Pechino di condividere i propri pensieri. E poiché Twitter non ha cancellato i post dei propri utenti, è riuscito a sviluppare un grande seguito tra i blogger cinesi, “stanchi di vedere il contenuto dei loro messaggi censurato”. Zhao Jing, commentatore di un’emittente cinese, non usa giri di parole: “In Cina c’è una società senza libertà di parola, senza libertà di stampa. Con Twitter, per la prima volta, si sono potuti esprimere liberamente i propri sentimenti senza paura di essere censurati”.

Nel 2009 le autorità cinesi scelsero di non censurare Twitter, ma in seguito alla rivolta della minoranza etnica degli Uiguri (etnia turcofona e islamica che vive soprattutto nella provincia autonoma dello Xinjiang ndr), i maggiori social network come Facebook e lo stesso Twitter sono stati oscurati in tutto il paese.

In questo vuoto si è inserito il portale cinese Sina Wiebo, che nell’agosto del 2009 ha lanciato il proprio servizio. Dapprima come aggregatore di notizie in lingua cinese a partire dal 2005, il blog è diventato uno dei più popolari del mondo.

Weibo produce in proprio messaggi di testo, foto e video, a differenza di Twitter che deve la propria fortuna a contributi esterni. “Abbiamo portato grandi migliorie al sito – dice l’amministratore delegato Charles Chao in un’intervista a Time –, ma già quando è stato lanciato aveva molte più funzioni di Twitter. Le persone tendono ad identificarlo con questo social network, ma penso che sia più giusto pensare a Weibo come combinazione di Facebook e Twitter”.

Il successo del blog sta anche nella sua ‘auto-censura’. Ci sono circa 700 persone che monitorano le parole ‘sensibili’. Nonostante questo, nel mese di ottobre del 2010, 14 mesi dopo la sua nascita, il sito ha registrato 50 milioni di utenti ed ora il numero si attesta intorno ai 70 milioni. Una cifra in ascesa, visto che ad utilizzarlo sono anche celebrità del mondo dello spettacolo e dello sport.