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Diritto di critica | November 25, 2024

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L'Euro(pa) che verrà - Diritto di critica

L’Euro(pa) che verrà

L’Europa arranca, sotto il peso di debiti che non riesce a ripianare. Gli investitori rifuggono i nostri titoli di debito, rivalutando i paesi emergenti. Il problema è strutturale: noi “continentali” siamo uniti, ma solo fino ad un certo punto, perché nessuno si fida di nessuno. E l’interesse particolare prevale ancora. Per il cittadino comune, tutto questo si trasformerà in tasse – quelle che prima o poi pagherà per saldare un debito pubblico oversize – e disoccupazione.

Cominciamo dai Cds, ovvero la fiducia che non c’è. L’acronimo sta per credit default swap, premi di assicurazione contro il rischio di fallimento degli Stati: indicano quanti soldi gli investitori chiedono ai governi per concedergli la loro fiducia e prestargli denaro. E in Europa stanno esplodendo letteralmente. La Grecia, che non riesce a mantenere gli impegni “lacrime e sangue” presi a inizio 2010, è diventata il paese più rischioso del mondo industrializzato, rubando il primato al disastrato Venezuela di Chavez. Oggi, per piazzare 10 milioni di euro di debito presso il mercato, Atene ne deve offrire uno di interesse, come garanzia. L’Irlanda  e il Portogallo si accomodano al terzo e quarto posto: Dublino era scontata, Lisbona un pò meno, ma il killeraggio svizzero non perdona. A partire dall’8 gennaio, Zurigo non accetta più titoli portoghesi come garanzia, considerati troppo “deboli”. Anche i big di Eurolandia sono coinvolti: la Spagna di Zapatero è la settima peggiore del mondo industrializzato, con uno spread di 260 sui titoli “sicuri” tedeschi. Non rassicura nemmeno la Francia, che ha visto il “costo” dei propri cds triplicare da inizio anno, toccando il record di 121 punti base.

E noi? Da noi le cose non vanno malissimo: lo spread dei nostri cds sui bund tedeschi resta stabile a quota 180 punti base. Il che ci rassicura, ma neanche troppo, visto che il nostro debito pubblico è già altissimo (118% e spicci, secondo le ultime stime) e ci costa ad ogni asta un interesse compreso tra 1,7% e 3%.

I paesi emergenti gioiscono, forti del nuovo ruolo di “porti sicuri” per l’investimento. La Cina rassicura Madrid, promettendo di aumentare a 6 miliardi di euro l’investimento in terra spagnola: l’Argentina risorge, vedendo aumentare la fiducia nei suoi confronti del 20%, la Romania lascia la top ten delle peggiori migliorando il proprio “costo di rischio” del 17% rispetto a settembre.

Le prospettive che questi dati indicano sono nere. L’Europa ha bisogno di credibilità per poter raccogliere risorse a basso costo sui mercati finanziari e riavviare la ripresa. Ma i singoli Stati non hanno il polso per cambiare rotta e risanare i conti (che non significa ammazzare welfare e spesa pubblica, ma rimodularla eliminando le voci superflue e cambiando le priorità politiche). Tremonti e Junker (Belgio) propongono un salvifico eurobond, ossia un titolo di debito garantito da tutti i paesi europei da vendere sul mercato. Bellissimo, perchè sostiene l’inconsistenza degli Stati periferici d’Europa (di cui i ministri sopra citati sono in effetti espressione) sacrificando la leggendaria credibilità tedesca. Berlino scalcia e protesta: non ha voglia di pagare (e di far pagare ai propri cittadini ed elettori) i debiti altrui, peggiorando i propri conti. Il problema non è tecnico, dice Tremonti, ma politico, che vede dietro gli eurobond il primo vero passo per l’unione finanziaria e fiscale europea. Ha ragione: ma l’unione che ne deriverà, sarà verso una federazione di stati super-indebitata come l’Italia, la Spagna, la Grecia, l’Irlanda, il Belgio…o virtuosa come i paesi scandinavi e la Germania?

La risposta è fondamentale: da questa dipende la disoccupazione, la crescita e la pressione fiscale sulla generazione attuale e su quelle future in ogni paese del nostro vecchio, stanco, confuso continente. 

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