Sanremo 2021 tra ombre e luci. Le fatiche del Festival in era Covid
Un filo invisibile riporta alla scorsa edizione, l’ultimo evento televisivo prima della pandemia.
Un Festival inedito, diverso per forza di cose, e si spera unico. Nonostante la girandola di mille ospiti di ogni genere (caratteristica della direzione artistica firmata Amadeus) e la verve inossidabile di Fiorello gli ascolti di Sanremo 2021 non decollano. Anche se la terza serata, dedicata alla musica d’autore e a pezzi noti del passato, risolleva un po’ le sorti.
Scenografia imponente, giochi di luci e momenti importanti come quelli di Loredana Bertè e Laura Pausini, che conquisterebbero la scena anche in uno sgabuzzino o nel deserto del Sahara. Ma tra cartonati, palloncini, applausi e standing ovation registrate, la mancanza di pubblico in sala si fa sentire. Specialmente quando arrivi alla terza/quarta ora di diretta e avresti il disperato bisogno di sbirciare in platea per avere solidarietà. E per vedere se ci fosse qualcuno ancora veramente sveglio. Bravo come sempre Fiorello a cercare di metterci una pezza e ad ironizzare sulle poltroncine e i loro braccioli, finalmente protagonisti.
Detto questo, al netto di siparietti ironici, ecco tornare la confusione dell’edizione 2020, piena, pienissima di musica, ma tale da destabilizzare lo spettatore, ora più che mai in pigiama davanti alla tv. Si perché oltre ai 26 “big” e alle 8 nuove proposte, lì dentro sanno cantare tutti (Amadeus sceglie bene le sue co-conduttrici, come l’astro nascente del cinema Matilda de Angelis ed una brava e spigliata Elodie): arrivano i duetti Fiorello-Amadeus, i duetti Fiorello-co-conduttrici, gli ospiti della serata, l’ospite fisso (Achille Lauro, che mette in scena ogni sera un “quadro” diverso). Peccato avere la sensazione che le canzoni in gara, forse pena anche il fatto che siano primi ascolti e che debbano quindi essere come sempre “metabolizzate”, risultino le più deboli della catena.
Tra piume, guanti infiniti, trasparenze e colori sgargianti (improponibili alcuni look) stanno scorrendo ventisei canzoni piuttosto eterogenee (da Orietta Berti a Renga passando per Fedez). Ma per ora è difficile trovarne una che “spacchi” in particolare, al di là di melodie pop sentite mille volte o tocchi vintage che richiamano sempre ad altri pezzi e artisti. Più attenzione ai testi. Finora la classifica premiava i beniamini più popolari su radio e social. Ma dopo la serata cover i primi posti nella provvisoria, occupati da Ermal Meta, Annalisa, Irama (che non era sul palco) e Malika Ayane sono stati sparigliati dal voto dell’orchestra. Orietta Berti arriva seconda dietro il “Caruso” di Ermal Meta e balza al nono posto, mentre Irama perde il podio a favore di Willie Peyote, che vince facile con la monumentale “Giudizi Universali” di Samuele Bersani.
I messaggi extra-musicali che vuol mandare questo Festival, infine, sono quelli più istituzionali (dagli appelli alla giustizia, alla lotta al Covid, dalle battaglie contro il femminicidio fino agli omaggi alle nostre eccellenze). E anche l’anticonformista Achille Lauro, sebbene spettacolare nella sua mise en scène (iconico nei suoi look, come quello ispirato all’iconografia di Mina), pare ormai inserito in un andar controcorrente anch’esso in qualche modo “istituzionale”. Vediamo se alla fine a predominare sarà la musica (soprattutto quella nuova) nel senso più godibile della parola, o se il caos del Festival ci lascerà ancora una volta storditi.