Superga 70 anni dopo, il miracolo del Grande Torino
La leggenda (che poi leggenda vera e propria non è) narra che il magazziniere del Torino, durante i campionati di calcio degli anni ’40, usasse dare la carica alla squadra con una piccola trombetta. Quel suono sgraziato e militaresco avvertiva che la partita stava languendo; era ora di stupire gli avversari e l’Italia intera, di dimostrare la propria superiorità con il famoso “quarto d’ora granata”. Questo era il Grande Torino, la squadra che 70 anni fa si è schiantata contro la collina di Superga, di ritorno da una partita amichevole disputata in Portogallo.
Il Grande Torino, incantevole emblema di un calcio d’altri tempi che sappiamo senza ritorno, ma nel cui pensiero ci crogioliamo spesso e volentieri. Per evitare facili accuse di antiquato sentimentalismo, l’unica cosa da fare è tenere conto dei fatti, e i fatti ci dicono che quella del Grande Torino è stata la squadra italiana più forte di tutti i tempi, un fenomeno sportivo nazionale, in un’Italia che tentava di riprendersi dal trauma della seconda Guerra Mondiale e aveva bisogno di eroi positivi.
La tragica fine del Torino dei record, capace di vincere cinque scudetti consecutivi (tra il 1943 e il 1949) e di avere ben dieci titolari nella selezione azzurra, coincide con la consacrazione del mito. I magnifici undici capitanati da Valentino Mazzola sembrano invincibili, e le loro vittorie fanno sognare milioni di italiani. Cento partite consecutive senza perdere (89 vittorie e 11 pareggi). Provate a contare fino a cento, signori. Poi la tragedia li proietta in una dimensione senza tempo né spazio. Le generazioni immediatamente successive al 1949 scrutano curiose le figurine sbiadite e ascoltano i racconti dei padri. Il Grande Torino diventa presto un tesoro da tramandare.
Settant’anni sono tanti, ma la nebbia che ha inghiottito spietata quell’aereo è, nei cuori dei tifosi, più nitida che mai, e ogni 4 maggio la storia di quei ragazzi si materializza negli omaggi provenienti da tutto il mondo, ma soprattutto nelle celebrazioni degli sportivi di fede granata, amanti disperati di una squadra unica, inevitabilmente intrisa di sofferenza ed esaltazione. Tutto e l’opposto di tutto. Solo chi è del Toro può capire.
Dicono che ogni anno, per la messa di suffragio, si entri nella basilica di Superga con il sole, e si esca con qualche goccia di pioggia, quasi che il cielo partecipi silenziosamente al ricordo. Sulla collina alle porte di Torino l’aria è diversa, l’atmosfera sempre surreale, e nei pressi della lapide che ricorda le trentuno vittime si è scossi da un leggerissimo brivido, anche in pieno agosto. Ha scritto Indro Montanelli dalle colonne del Corriere della Sera, poco dopo la tragedia: «Gli eroi sono sempre immortali agli occhi di chi in essi crede. E così i ragazzi crederanno che il Torino non è morto: è soltanto “in trasferta”».