Tutti i dolori del giovane Di Maio
La protesta dei no Tap è solo l’ultima grana per il vicepremier, sempre più in discussione tra i Cinque Stelle
Di Virgilio Bartolucci
Chissà se vedendo gli attivisti no Tap bruciare le bandiere e strappare le tessere del Movimento 5Stelle la risatina che Luigi Di Maio aveva in diretta televisiva a Di Martedì è svanita, o si è semplicemente trasformata in un ghigno di tensione reso ancor più tirato dalle critiche che serpeggiano nel Movimento. Di Maio chiede ai suoi di restare uniti sotto un attacco totale, serra i ranghi e ordina di non avere ripensamenti o incertezze, ma per il vicepremier pentastellato il momento è dei peggiori.
Guai e polemiche Dopo lo stop alla manovra giunto dalla Ue e l’ammissione di Tria sullo spread che non potrà essere tollerato a lungo dalle banche, dopo l’attacco a Mario Draghi reo di avvelenare il clima e non tifare Italia, dopo il decreto sicurezza voluto dalla Lega e osteggiato dai suoi e la figuraccia sulla manina sconosciuta che ha infilato un condono in piena regola nel decreto fiscale, adesso Di Maio deve affrontare la rivolta per il dietrofront sul gasdotto pugliese e le polemiche scatenate con la scoperta della penale multimiliardaria – che poi penale non è – addotta a motivazione del cambio di rotta. È un periodo difficile anche perché il ministro del Lavoro non è abituato alla ferocia di chi si sente tradito, e dopo anni trascorsi “dalla parte della gente” assapora per la prima volta cosa significhi trovarsi sul banco degli imputati come un politico qualsiasi. Quel che è peggio è che Di Maio inizia ad avvertire l’insoddisfazione dei suoi: Grillo e Davide Casaleggio, rispettivamente fondatore e figlio del cofondatore di cui ha ereditato in linea dinastica le prerogative, storcono la bocca ad ogni uscita del capo politico; e se Fico guida la fronda interna, in compenso il Natale gli porterà in dono un Di Battista pronto a un rientro in grande stile.
Il nodo del gasdotto Ritrovatosi nello scomodo ruolo di mediatore per conto di un movimento sorto proprio in risposta alle pavide mediazioni della vecchia politica, Di Maio ha dimostrato di avere una scarsa tenuta ed ha risposto alla pressione inanellando figuracce e dichiarazioni improvvide. La storia della manina che ha infilato il condono nel decreto fiscale gli era già valsa una patente di incompetenza e di incapacità definitiva. Ora a preoccupare davvero però è la contestazione per il gasdotto che sorgerà a Melendugno. È la risposta alle promesse tradite con cui i 5stelle avevano rastrellato voti in Puglia. Una situazione aggravata dalla frustrazione dei deputati grillini della zona – tra cui figura la ministra per il Sud Lezzi – eletti appositamente per bloccare il Tap a cui nessuno ha comunicato l’inversione di rotta, lasciati soli a fronteggiare la rabbia dei cittadini delusi dal voltafaccia. La strada verso le Europee è lunga e per Di Maio rischia di diventare una via Crucis personale a cui lo statista di Pomigliano non sembra essere preparato. La luna di miele con l’elettorato è durata a lungo, ma adesso i peggiori presagi si stanno materializzando uno dopo l’altro e stavolta gridare contro l’Europa dei burocrati ostaggio della finanza internazionale potrebbe non bastare.
Scenari futuri? A turbare il vicepremier più delle minacce esterne sono però le grane interne al movimento. È li che Di Maio sente franare il terreno sotto ai piedi. Vorrebbe i suoi stretti a lui, come tanti legionari disciplinati e pronti a cozzare gli elmi con quelli del nemico, ma sotto l’ombra degli scudi rischia di scorgere il profilo brizzolato di un Fico sempre più leader della sinistra grillina, o gli occhi sprezzanti di Di Battista pronto a varcare la frontiera da acclamato tribuno della plebe. Ci vorrebbe una nuova investitura, una blindatura da parte delle anime nobili del movimento di cui non vi è traccia all’orizzonte. E così l’ansia del vicepremier cresce assieme al timore di un cambio al vertice, un possibile avvicendamento benedetto da Grillo e Casaleggio. Per loro in fondo “uno vale uno” e questo Di Maio lo sa fin troppo bene.
Di Virgilio Bartolucci
Chissà se vedendo gli attivisti no Tap bruciare le bandiere e strappare le tessere del Movimento 5Stelle la risatina che Luigi Di Maio aveva in diretta televisiva a Di Martedì è svanita, o si è semplicemente trasformata in un ghigno di tensione reso ancor più tirato dalle critiche che serpeggiano nel Movimento. Di Maio chiede ai suoi di restare uniti sotto un attacco totale, serra i ranghi e ordina di non avere ripensamenti o incertezze, ma per il vicepremier pentastellato il momento è dei peggiori.
Guai e polemiche Dopo lo stop alla manovra giunto dalla Ue e l’ammissione di Tria sullo spread che non potrà essere tollerato a lungo dalle banche, dopo l’attacco a Mario Draghi reo di avvelenare il clima e non tifare Italia, dopo il decreto sicurezza voluto dalla Lega e osteggiato dai suoi e la figuraccia sulla manina sconosciuta che ha infilato un condono in piena regola nel decreto fiscale, adesso Di Maio deve affrontare la rivolta per il dietrofront sul gasdotto pugliese e le polemiche scatenate con la scoperta della penale multimiliardaria – che poi penale non è – addotta a motivazione del cambio di rotta. È un periodo difficile anche perché il ministro del Lavoro non è abituato alla ferocia di chi si sente tradito, e dopo anni trascorsi “dalla parte della gente” assapora per la prima volta cosa significhi trovarsi sul banco degli imputati come un politico qualsiasi. Quel che è peggio è che Di Maio inizia ad avvertire l’insoddisfazione dei suoi: Grillo e Davide Casaleggio, rispettivamente fondatore e figlio del cofondatore di cui ha ereditato in linea dinastica le prerogative, storcono la bocca ad ogni uscita del capo politico; e se Fico guida la fronda interna, in compenso il Natale gli porterà in dono un Di Battista pronto a un rientro in grande stile.
Il nodo del gasdotto Ritrovatosi nello scomodo ruolo di mediatore per conto di un movimento sorto proprio in risposta alle pavide mediazioni della vecchia politica, Di Maio ha dimostrato di avere una scarsa tenuta ed ha risposto alla pressione inanellando figuracce e dichiarazioni improvvide. La storia della manina che ha infilato il condono nel decreto fiscale gli era già valsa una patente di incompetenza e di incapacità definitiva. Ora a preoccupare davvero però è la contestazione per il gasdotto che sorgerà a Melendugno. È la risposta alle promesse tradite con cui i 5stelle avevano rastrellato voti in Puglia. Una situazione aggravata dalla frustrazione dei deputati grillini della zona – tra cui figura la ministra per il Sud Lezzi – eletti appositamente per bloccare il Tap a cui nessuno ha comunicato l’inversione di rotta, lasciati soli a fronteggiare la rabbia dei cittadini delusi dal voltafaccia. La strada verso le Europee è lunga e per Di Maio rischia di diventare una via Crucis personale a cui lo statista di Pomigliano non sembra essere preparato. La luna di miele con l’elettorato è durata a lungo, ma adesso i peggiori presagi si stanno materializzando uno dopo l’altro e stavolta gridare contro l’Europa dei burocrati ostaggio della finanza internazionale potrebbe non bastare.
Scenari futuri? A turbare il vicepremier più delle minacce esterne sono però le grane interne al movimento. È li che Di Maio sente franare il terreno sotto ai piedi. Vorrebbe i suoi stretti a lui, come tanti legionari disciplinati e pronti a cozzare gli elmi con quelli del nemico, ma sotto l’ombra degli scudi rischia di scorgere il profilo brizzolato di un Fico sempre più leader della sinistra grillina, o gli occhi sprezzanti di Di Battista pronto a varcare la frontiera da acclamato tribuno della plebe. Ci vorrebbe una nuova investitura, una blindatura da parte delle anime nobili del movimento di cui non vi è traccia all’orizzonte. E così l’ansia del vicepremier cresce assieme al timore di un cambio al vertice, un possibile avvicendamento benedetto da Grillo e Casaleggio. Per loro in fondo “uno vale uno” e questo Di Maio lo sa fin troppo bene.