Come i partiti sono riusciti a bloccare il sistema
Siamo di fronte a una crisi istituzionale senza precedenti. E nessuno vuole pagare per una scelta di responsabilità
Governo tecnico. Governo del Presidente. O elezioni anticipate. Quella che stiamo vivendo è forse la crisi istituzionale più grave dal 1945. È la prima volta in assoluto che il Parlamento italiano, all’indomani delle elezioni, non è in grado di esprimere una maggioranza. “Colpa della legge elettorale”, spiegano i pentastellati. In realtà, non è così, come spiega bene Salvatore Borghese su YouTrend. Gli italiani, dal 1994 a oggi, hanno digerito piuttosto bene il bipolarismo: centro-destra contro centro-sinistra. La coalizione che prende più voti governa. Il sistema ha iniziato a mostrare i primi problemi con la partecipazione delle elezioni politiche del 2013 del Movimento 5 Stelle. A due poli se ne è aggiunto un altro che ha compresso in maniera determinante il centro-destra e non ha permesso al centro-sinistra di ottenere la maggioranza al Senato. Il lavoro di Enrico Letta da una parte e di Angelino Alfano dall’altra ha permesso di far partire la legislatura, garantendo al centro-sinistra una seppur risicata maggioranza, sostanzialmente stabile.
Ma, nonostante la necessità di ricorrere al cosiddetto “inciucio”, i partiti hanno continuato a tenere nella comunicazione un atteggiamento bellicoso, anche e soprattutto a causa di un Movimento 5 Stelle che ha condotto una perenne campagna elettorale negli ultimi cinque anni, focalizzando la comunicazione sulla necessità di “spazzare via i vecchi partiti”.
Oggi la situazione è simile a quella del 2013, ma sotto alcuni punti di vista molto più intricata. È uno schema “fotocopia” ma con elementi invertiti. Se nel 2013 il centro-destra rappresentava il terzo polo, nettamente ridimensionato, nel 2018 la stessa sorte è toccata al Pd. Allora perché è così difficile dare il via a questa legislatura? Il problema vero è tutto interno al centro-destra. Diversamente dal 2013, Forza Italia ha perso la leadership della propria coalizione. Non ha i numeri da sola per creare una maggioranza con il Pd, come era accaduto nel 2013. Né il Pd è disposto a dare il suo sostegno a un governo a trazione leghista. Dall’altra parte il Movimento propone un’alleanza con la Lega di Matteo Salvini, ma senza l’ingombrante presenza di Berlusconi, il quale – a sua volta – non intende aprire ai 5 stelle. Pur avendo i numeri per un governo Lega-M5S, il leader del Carroccio non può rompere con l’ex Cavaliere perché significherebbe mettere seriamente a rischio una coalizione che governa regioni e migliaia di comuni, una coalizione che esiste in virtù di un sistema elettorale locale sostanzialmente maggioritario.
Il sistema politico italiano si trova ad affrontare una situazione simile a quella della prima repubblica durante la quale nessun partito era autosufficiente per formare un governo e le maggioranze nascevano in Parlamento sotto la guida del Quirinale. Ma rispetto agli anni 80, oggi ci sono due differenze sostanziali: le coalizioni (in questo caso solo quella del centro-destra) e una comunicazione politica ancora fortemente maggioritaria. “O noi o loro”, “spazziamo via i vecchi partiti”, “sono peggio dei comunisti”, “mafiosi, vi manderemo a casa”, sono solo alcune delle frasi che gli italiani hanno ascoltato praticamente negli ultimi cinque anni. In questo clima da perenne campagna elettorale e con uno spirito da guerra civile, i partiti si sono chiusi in se stessi per evitare di perdere consenso e hanno bloccato il sistema. Non a caso risultano tardivi i cambi di registro di Luigi Di Maio sull’euro e sul Pd. E anche rischiosi: nelle ultime settimane il Movimento 5 stelle ha avuto una decisa flessione nei sondaggi.
Come sbloccare la situazione? Ci vuole tempo e questo il Capo dello Stato lo ha capito bene. Le elezioni anticipate a luglio non produrranno alcun effetto ma daranno agli investitori internazionali l’immagine di un’Italia bloccata tanto da mettere a rischio la tenuta economico-finanziaria del paese. Un governo del Presidente è l’unica soluzione per far decantare la situazione. Da qui a dicembre, se i partiti decideranno di cambiare registro, una maggioranza è possibile. Ma ci vuole responsabilità, quella che manca.
Governo tecnico. Governo del Presidente. O elezioni anticipate. Quella che stiamo vivendo è forse la crisi istituzionale più grave dal 1945. È la prima volta in assoluto che il Parlamento italiano, all’indomani delle elezioni, non è in grado di esprimere una maggioranza. “Colpa della legge elettorale”, spiegano i pentastellati. In realtà, non è così, come spiega bene Salvatore Borghese su YouTrend. Gli italiani, dal 1994 a oggi, hanno digerito piuttosto bene il bipolarismo: centro-destra contro centro-sinistra. La coalizione che prende più voti governa. Il sistema ha iniziato a mostrare i primi problemi con la partecipazione delle elezioni politiche del 2013 del Movimento 5 Stelle. A due poli se ne è aggiunto un altro che ha compresso in maniera determinante il centro-destra e non ha permesso al centro-sinistra di ottenere la maggioranza al Senato. Il lavoro di Enrico Letta da una parte e di Angelino Alfano dall’altra ha permesso di far partire la legislatura, garantendo al centro-sinistra una seppur risicata maggioranza, sostanzialmente stabile.
Ma, nonostante la necessità di ricorrere al cosiddetto “inciucio”, i partiti hanno continuato a tenere nella comunicazione un atteggiamento bellicoso, anche e soprattutto a causa di un Movimento 5 Stelle che ha condotto una perenne campagna elettorale negli ultimi cinque anni, focalizzando la comunicazione sulla necessità di “spazzare via i vecchi partiti”.
Oggi la situazione è simile a quella del 2013, ma sotto alcuni punti di vista molto più intricata. È uno schema “fotocopia” ma con elementi invertiti. Se nel 2013 il centro-destra rappresentava il terzo polo, nettamente ridimensionato, nel 2018 la stessa sorte è toccata al Pd. Allora perché è così difficile dare il via a questa legislatura? Il problema vero è tutto interno al centro-destra. Diversamente dal 2013, Forza Italia ha perso la leadership della propria coalizione. Non ha i numeri da sola per creare una maggioranza con il Pd, come era accaduto nel 2013. Né il Pd è disposto a dare il suo sostegno a un governo a trazione leghista. Dall’altra parte il Movimento propone un’alleanza con la Lega di Matteo Salvini, ma senza l’ingombrante presenza di Berlusconi, il quale – a sua volta – non intende aprire ai 5 stelle. Pur avendo i numeri per un governo Lega-M5S, il leader del Carroccio non può rompere con l’ex Cavaliere perché significherebbe mettere seriamente a rischio una coalizione che governa regioni e migliaia di comuni, una coalizione che esiste in virtù di un sistema elettorale locale sostanzialmente maggioritario.
Il sistema politico italiano si trova ad affrontare una situazione simile a quella della prima repubblica durante la quale nessun partito era autosufficiente per formare un governo e le maggioranze nascevano in Parlamento sotto la guida del Quirinale. Ma rispetto agli anni 80, oggi ci sono due differenze sostanziali: le coalizioni (in questo caso solo quella del centro-destra) e una comunicazione politica ancora fortemente maggioritaria. “O noi o loro”, “spazziamo via i vecchi partiti”, “sono peggio dei comunisti”, “mafiosi, vi manderemo a casa”, sono solo alcune delle frasi che gli italiani hanno ascoltato praticamente negli ultimi cinque anni. In questo clima da perenne campagna elettorale e con uno spirito da guerra civile, i partiti si sono chiusi in se stessi per evitare di perdere consenso e hanno bloccato il sistema. Non a caso risultano tardivi i cambi di registro di Luigi Di Maio sull’euro e sul Pd. E anche rischiosi: nelle ultime settimane il Movimento 5 stelle ha avuto una decisa flessione nei sondaggi.
Come sbloccare la situazione? Ci vuole tempo e questo il Capo dello Stato lo ha capito bene. Le elezioni anticipate a luglio non produrranno alcun effetto ma daranno agli investitori internazionali l’immagine di un’Italia bloccata tanto da mettere a rischio la tenuta economico-finanziaria del paese. Un governo del Presidente è l’unica soluzione per far decantare la situazione. Da qui a dicembre, se i partiti decideranno di cambiare registro, una maggioranza è possibile. Ma ci vuole responsabilità, quella che manca.