La Ue bacchetta l'Italia: "I porti non pagano le tasse dal 1958"
L’ammonizione via lettera è giunta a Roma i primi di aprile: il nostro Paese è a rischio di una procedura d’infrazione. In ballo ci sono 100 milioni di euro
La concorrenza dei nostri scali con gli altri porti europei è già spietata e sfiancante, ma per Bruxelles è soprattutto sleale. Dopo anni di lettere e scambi di pareri, la Dg Competition, il ramo della Commissione che si occupa del settore, ha avvisato infatti Roma di una possibile apertura della procedura di infrazione per il mancato pagamento delle tasse da parte delle Autorità portuali italiane, sin dagli albori dell’Europa Unita.
Cosa dice la lettera Secondo la Ue, i porti dovrebbero pagare le imposte sul reddito poiché rilasciano concessioni ed autorizzazioni, e svolgono quindi attività economica. Negli anni passati già Olanda, Belgio e Francia si sono adeguati, ora toccherebbe a Spagna e, appunto, al nostro Paese, le cui Autorità provengono però dallo Stato, non sono cioè imprese private. Ma la lettera da Bruxelles è chiara: «Con l’esenzione dalle tasse, l’Italia rinuncia a una parte di entrate che costituiscono risorse economiche per lo Stato. L’Europa ritiene che la misura dell’esenzione distorce, o minaccia di farlo, la concorrenza e influenza negativamente i traffici merci dentro l’Unione».
Cosa potrebbe accadere Se non ci dovessimo adeguare alla richiesta, la Commissione potrebbe decidere di deferire l’Italia alla Corte di Giustizia e in seguito chiedere che vengano imposte sanzioni, secondo la classica procedura che viene eseguita nei confronti di un Paese che non attua il diritto dell’Unione Europea.
Il tempo per un tentativo L’associazione che rappresenta i porti italiani ha comunque promesso battaglia: «Dobbiamo chiarire che nostri scali sono enti pubblici come lo Stato – ha dichiarato il Presidente di Assoporti, Zeno D’Agostino – in questo modo rischiamo di metterli in ginocchio. Lavoreremo con tutte le risorse a nostra disposizione per offrire ogni utile contributo al Ministero dei Trasporti in questa difficile partita». Gli fa eco il Presidente di Confetra (Confederazione generale italiana dei trasporti e della logistica), Nereo Marcucci: «Dobbiamo contrastare tutti uniti, e auspicabilmente accanto a un Governo forte e autorevole, questa incomprensibile posizione della Dg Competition della Commissione Ue».
I rischi per i nostri scali L’accoglimento delle misure volute da Bruxelles, che a meno di interventi politici o ribaltoni sarà effettivo dal 2020, non aiuterà la già difficile situazione di molte banchine mercantili o turistiche della Penisola: la manovra, del valore di circa 100 milioni di euro, costringerà le Autorità portuali ad aumentare le tasse tra il 30 e il 40 per cento per restare a galla, considerando che autorizzazioni e concessioni pesano per il 50 per cento sui bilanci. Un’impennata fiscale che potrebbe dissuadere o far scappare armatori e investitori. Nel 2017, secondo Assoporti, le banchine italiane hanno generato un volume di carico, scarico e trasporto merci pari a più di 501 milioni di tonnellate (501.423.074, per la precisione).
La concorrenza dei nostri scali con gli altri porti europei è già spietata e sfiancante, ma per Bruxelles è soprattutto sleale. Dopo anni di lettere e scambi di pareri, la Dg Competition, il ramo della Commissione che si occupa del settore, ha avvisato infatti Roma di una possibile apertura della procedura di infrazione per il mancato pagamento delle tasse da parte delle Autorità portuali italiane, sin dagli albori dell’Europa Unita.
Cosa dice la lettera Secondo la Ue, i porti dovrebbero pagare le imposte sul reddito poiché rilasciano concessioni ed autorizzazioni, e svolgono quindi attività economica. Negli anni passati già Olanda, Belgio e Francia si sono adeguati, ora toccherebbe a Spagna e, appunto, al nostro Paese, le cui Autorità provengono però dallo Stato, non sono cioè imprese private. Ma la lettera da Bruxelles è chiara: «Con l’esenzione dalle tasse, l’Italia rinuncia a una parte di entrate che costituiscono risorse economiche per lo Stato. L’Europa ritiene che la misura dell’esenzione distorce, o minaccia di farlo, la concorrenza e influenza negativamente i traffici merci dentro l’Unione».
Cosa potrebbe accadere Se non ci dovessimo adeguare alla richiesta, la Commissione potrebbe decidere di deferire l’Italia alla Corte di Giustizia e in seguito chiedere che vengano imposte sanzioni, secondo la classica procedura che viene eseguita nei confronti di un Paese che non attua il diritto dell’Unione Europea.
Il tempo per un tentativo L’associazione che rappresenta i porti italiani ha comunque promesso battaglia: «Dobbiamo chiarire che nostri scali sono enti pubblici come lo Stato – ha dichiarato il Presidente di Assoporti, Zeno D’Agostino – in questo modo rischiamo di metterli in ginocchio. Lavoreremo con tutte le risorse a nostra disposizione per offrire ogni utile contributo al Ministero dei Trasporti in questa difficile partita». Gli fa eco il Presidente di Confetra (Confederazione generale italiana dei trasporti e della logistica), Nereo Marcucci: «Dobbiamo contrastare tutti uniti, e auspicabilmente accanto a un Governo forte e autorevole, questa incomprensibile posizione della Dg Competition della Commissione Ue».
I rischi per i nostri scali L’accoglimento delle misure volute da Bruxelles, che a meno di interventi politici o ribaltoni sarà effettivo dal 2020, non aiuterà la già difficile situazione di molte banchine mercantili o turistiche della Penisola: la manovra, del valore di circa 100 milioni di euro, costringerà le Autorità portuali ad aumentare le tasse tra il 30 e il 40 per cento per restare a galla, considerando che autorizzazioni e concessioni pesano per il 50 per cento sui bilanci. Un’impennata fiscale che potrebbe dissuadere o far scappare armatori e investitori. Nel 2017, secondo Assoporti, le banchine italiane hanno generato un volume di carico, scarico e trasporto merci pari a più di 501 milioni di tonnellate (501.423.074, per la precisione).