Dazi e rimpiazzi, i frenetici giorni di Trump
Prima l’annuncio delle imposte su acciaio e alluminio, poi i battibecchi con Cina ed Europa. Ora il Presidente Usa fa (di nuovo) piazza pulita all’interno del suo staff
Che siano via social o attraverso comunicati ufficiali, i colpi di scena e le schermaglie con mezzo mondo di Trump continuano senza sosta. Anche nei confronti del suo entourage. È di poche ore fa, infatti, l’annuncio dell’allontanamento dalla Casa Bianca del Segretario di Stato Rex Tillerson, sostituito in fretta e furia con il direttore della Cia, Mike Pompeo: «Non ci trovavamo su alcune cose, per esempio sull’accordo iraniano», ha dichiarato il Presidente Usa. A guidare la Cia andrà per la prima volta una donna, Gina Haspel.
L’ennesimo rimpasto Tillerson è il ventesimo funzionario cacciato in poco più di un anno di governo, a dimostrazione dell’imprevedibilità di Trump e delle sue mosse. E della spasmodica necessità di avere accanto chi la pensa totalmente come lui: «Con Pompeo c’è stata sempre una certa chimica». I due sono sulla stessa lunghezza d’onda anche sugli accordi climatici di Parigi, che erano stati invece motivo di scontro con Tillerson (l’ex Segretario premeva per restare nel patto). Il nuovo capo della diplomazia americana avrà subito a che fare con temi delicatissimi, quali l’incontro con Kim Jong-un e le trattative per la modifica del Nafta, l’accordo commerciale tra Stati Uniti, Canada e Messico.
Instabilità Appena nominato, Pompeo ha elogiato (via Twitter) il Presidente, affermando che dal suo arrivo l’America è un posto più sicuro. Tra scontri diplomatici, decisioni quantomeno opinabili ed epurazioni interne al suo staff, in realtà, l’immagine di rimando dell’era Trump non sembra dare idea di sicurezza, né di stabilità. Basta guardare, ad esempio, la lunga lista di collaboratori fidati spariti dalla Casa Bianca, rimossi dal loro incarico uno dopo l’altro, tanto da far “meritare” all’uomo più potente del mondo decine di vignette satiriche o immagini animate sul web. Dal consigliere per la sicurezza nazionale Mike Flynn, coinvolto nel Russiagate e licenziato dopo solo un mese, al capo della comunicazione Anthony Scaramucci, durato appena 10 giorni. Passando per Steve Bannon, tra gli strateghi della campagna presidenziale, diventato dopo 9 mesi uno dei detrattori di Trump nel libro “Fire and Fury”. E pochi giorni fa si è dimesso il consigliere economico Gary Cohn, ex banchiere di Goldman Sachs, fermamente contrario alla svolta protezionista e alla politica dei dazi del Presidente. Uno dei pochi “coraggiosi” che erano rimasti a difendere le loro opinioni davanti al grande capo.
La guerra dei dazi L’amministrazione americana arriva all’ennesimo scossone interno dopo giorni di battaglia diplomatica e verbale proprio sul tema del commercio globale: Trump ha annunciato nuovi dazi doganali su acciaio e alluminio (rispettivamente del 25 e del 10 per cento), scatenando immediatamente la reazione negativa di Paesi come Canada, Russia, Cina, che lo accusano di eccedere di protezionismo, incurante del rischio di danneggiare l’economia mondiale. E della Ue, che chiede di essere esclusa dalla misura in quanto alleata degli Usa. Il “braccio di ferro” sembra solo all’inizio, ma Trump va dritto per la sua strada, in nome della «tutela degli americani e dei loro posti di lavoro». Almeno fino al prossimo colpo di scena.
Che siano via social o attraverso comunicati ufficiali, i colpi di scena e le schermaglie con mezzo mondo di Trump continuano senza sosta. Anche nei confronti del suo entourage. È di poche ore fa, infatti, l’annuncio dell’allontanamento dalla Casa Bianca del Segretario di Stato Rex Tillerson, sostituito in fretta e furia con il direttore della Cia, Mike Pompeo: «Non ci trovavamo su alcune cose, per esempio sull’accordo iraniano», ha dichiarato il Presidente Usa. A guidare la Cia andrà per la prima volta una donna, Gina Haspel.
L’ennesimo rimpasto Tillerson è il ventesimo funzionario cacciato in poco più di un anno di governo, a dimostrazione dell’imprevedibilità di Trump e delle sue mosse. E della spasmodica necessità di avere accanto chi la pensa totalmente come lui: «Con Pompeo c’è stata sempre una certa chimica». I due sono sulla stessa lunghezza d’onda anche sugli accordi climatici di Parigi, che erano stati invece motivo di scontro con Tillerson (l’ex Segretario premeva per restare nel patto). Il nuovo capo della diplomazia americana avrà subito a che fare con temi delicatissimi, quali l’incontro con Kim Jong-un e le trattative per la modifica del Nafta, l’accordo commerciale tra Stati Uniti, Canada e Messico.
Instabilità Appena nominato, Pompeo ha elogiato (via Twitter) il Presidente, affermando che dal suo arrivo l’America è un posto più sicuro. Tra scontri diplomatici, decisioni quantomeno opinabili ed epurazioni interne al suo staff, in realtà, l’immagine di rimando dell’era Trump non sembra dare idea di sicurezza, né di stabilità. Basta guardare, ad esempio, la lunga lista di collaboratori fidati spariti dalla Casa Bianca, rimossi dal loro incarico uno dopo l’altro, tanto da far “meritare” all’uomo più potente del mondo decine di vignette satiriche o immagini animate sul web. Dal consigliere per la sicurezza nazionale Mike Flynn, coinvolto nel Russiagate e licenziato dopo solo un mese, al capo della comunicazione Anthony Scaramucci, durato appena 10 giorni. Passando per Steve Bannon, tra gli strateghi della campagna presidenziale, diventato dopo 9 mesi uno dei detrattori di Trump nel libro “Fire and Fury”. E pochi giorni fa si è dimesso il consigliere economico Gary Cohn, ex banchiere di Goldman Sachs, fermamente contrario alla svolta protezionista e alla politica dei dazi del Presidente. Uno dei pochi “coraggiosi” che erano rimasti a difendere le loro opinioni davanti al grande capo.
La guerra dei dazi L’amministrazione americana arriva all’ennesimo scossone interno dopo giorni di battaglia diplomatica e verbale proprio sul tema del commercio globale: Trump ha annunciato nuovi dazi doganali su acciaio e alluminio (rispettivamente del 25 e del 10 per cento), scatenando immediatamente la reazione negativa di Paesi come Canada, Russia, Cina, che lo accusano di eccedere di protezionismo, incurante del rischio di danneggiare l’economia mondiale. E della Ue, che chiede di essere esclusa dalla misura in quanto alleata degli Usa. Il “braccio di ferro” sembra solo all’inizio, ma Trump va dritto per la sua strada, in nome della «tutela degli americani e dei loro posti di lavoro». Almeno fino al prossimo colpo di scena.