Pyeongchang 30 anni prima, quei Giochi che fecero fallire la Nord Corea
Per il Paese la partecipazione alle Olimpiadi Invernali è stata un successo mediatico, ma trent’anni fa il boicottaggio a Seul e l’organizzazione del Festival della Gioventù lo portarono al tracollo
È cosa ovvia e ormai consolidata l’importanza che riesce ad avere un evento sportivo sulla politica e le relazioni internazionali. Con la partecipazione ai Giochi invernali di Pyeongchang, la Corea del Nord ha avuto una risonanza mediatica e una “pubblicità” più efficace di qualsiasi colloquio o investimento economico. Per ora, certo. Ma la scena della visita della sorella del dittatore Kim Jong-un presso il Palazzo Presidenziale sudcoreano ha significato in quel momento svolta, apertura, cambiamento. Trent’anni fa le cose non andarono così, l’allora Stato comunista fece un errore di valutazione che costò assai caro alla popolazione.
L’inizio della fine Nel 1988 i nordcoreani boicottarono le Olimpiadi estive di Seul (a differenza di Mosca e Pechino) e proseguirono inevitabilmente verso il loro declino, declino che stava avvenendo ormai in numerosi regimi comunisti. Pyongyang “rispose” alla Corea del Sud organizzando il Festival Mondiale della Gioventù e degli Studenti (“World Festival of Youth and Students”), una manifestazione internazionale che nel 1989 trascinò però il Paese nella crisi più nera e nella carestia.
Il passo più lungo della gamba Nell’ostinato tentativo di dimostrare l’efficacia del sistema comunista e la teoria dell’autosufficienza, i nordcoreani si imbarcarono infatti in un’impresa titanica: otto giorni di giochi, gare, eventi, con delegazioni in arrivo da più di 170 Paesi del mondo, per un totale di almeno 25mila partecipanti. Anche gli Stati Uniti, per la prima volta dopo la Guerra di Corea degli anni ‘50, mandarono un centinaio di loro cittadini a Pyongyang. La Corea del Nord spese circa 4,5 miliardi di dollari, un quarto del suo budget annuale. Costruì un hotel (mai occupato e rimasto incompiuto per anni) di 105 piani, rivestì le stazioni della metropolitana di marmo pregiato, espose una copia dell’Arco di Trionfo. Dall’estero arrivarono più di mille costose auto per accogliere i visitatori, e fu terminato uno stadio capace di contenere 150mila spettatori.
I debiti e la rovina Sebbene i primi tempi l’iniziativa portò risonanza e attenzione da parte dell’Ovest, presto la consapevolezza del divario con i vicini del Sud e l’accumulo di debiti enormi portarono a picco i nordcoreani. A ciò si aggiunse il crollo del muro di Berlino e l’eclissi dell’intero sistema comunista guidato dall’Urss: un’epoca spartiacque che portò l’instabilità economica dei primi anni Novanta e la fine dei sovvenzionamenti che la Corea riceveva dai Paesi comunisti più forti. Tra inondazioni e fallimento dell’agricoltura collettiva, morirono di fame tra i 2 e i 3 milioni di nordcoreani. Un’ecatombe.
La storia insegna? Cambiano i tempi, cambiano i governi. Trent’anni dopo la Corea del Nord insegue sempre quella del Sud, ma ha saputo cogliere un’occasione per mostrarsi almeno apparentemente diversa: «Il Nord non ha nulla da perdere con questa sua partecipazione – ha dichiarato alla Cnn Joseph Siracusa, professore di diplomazia internazionale all’Università RMIT di Melbourne, Australia – il suo intento è quello di sembrare “normale”, ragionevole. Il suo arrivo a Pyeongchang è una grande vittoria diplomatica, ma non risolve i problemi, se dopo i Giochi torneranno i soliti atteggiamenti e la minaccia delle armi nucleari».
Gli Usa sempre in allerta Al di là della delicatissima posizione in cui si trova Seul, sono gli Stati Uniti i primi a non farsi illusioni: «Non permetteremo alla propaganda della Corea del Nord di dirottare il messaggio e le immagini dei Giochi – ha detto il vicepresidente Mike Pence – la loro strategia non ci ha ingannati. Siamo qui anche per stare con i nostri alleati e per ricordare al mondo che la Corea del Nord è il regime più tirannico e oppressivo del pianeta». Pence ha incontrato i disertori nordcoreani, e ha portato con sé il padre di Otto Warmbier, lo studente americano imprigionato a Pyongyang e deceduto negli Usa per i danni riportati in carcere. Propaganda contro propaganda, quindi. In attesa del prossimo round, una volta finite le Olimpiadi invernali.
È cosa ovvia e ormai consolidata l’importanza che riesce ad avere un evento sportivo sulla politica e le relazioni internazionali. Con la partecipazione ai Giochi invernali di Pyeongchang, la Corea del Nord ha avuto una risonanza mediatica e una “pubblicità” più efficace di qualsiasi colloquio o investimento economico. Per ora, certo. Ma la scena della visita della sorella del dittatore Kim Jong-un presso il Palazzo Presidenziale sudcoreano ha significato in quel momento svolta, apertura, cambiamento. Trent’anni fa le cose non andarono così, l’allora Stato comunista fece un errore di valutazione che costò assai caro alla popolazione.
L’inizio della fine Nel 1988 i nordcoreani boicottarono le Olimpiadi estive di Seul (a differenza di Mosca e Pechino) e proseguirono inevitabilmente verso il loro declino, declino che stava avvenendo ormai in numerosi regimi comunisti. Pyongyang “rispose” alla Corea del Sud organizzando il Festival Mondiale della Gioventù e degli Studenti (“World Festival of Youth and Students”), una manifestazione internazionale che nel 1989 trascinò però il Paese nella crisi più nera e nella carestia.
Il passo più lungo della gamba Nell’ostinato tentativo di dimostrare l’efficacia del sistema comunista e la teoria dell’autosufficienza, i nordcoreani si imbarcarono infatti in un’impresa titanica: otto giorni di giochi, gare, eventi, con delegazioni in arrivo da più di 170 Paesi del mondo, per un totale di almeno 25mila partecipanti. Anche gli Stati Uniti, per la prima volta dopo la Guerra di Corea degli anni ‘50, mandarono un centinaio di loro cittadini a Pyongyang. La Corea del Nord spese circa 4,5 miliardi di dollari, un quarto del suo budget annuale. Costruì un hotel (mai occupato e rimasto incompiuto per anni) di 105 piani, rivestì le stazioni della metropolitana di marmo pregiato, espose una copia dell’Arco di Trionfo. Dall’estero arrivarono più di mille costose auto per accogliere i visitatori, e fu terminato uno stadio capace di contenere 150mila spettatori.
I debiti e la rovina Sebbene i primi tempi l’iniziativa portò risonanza e attenzione da parte dell’Ovest, presto la consapevolezza del divario con i vicini del Sud e l’accumulo di debiti enormi portarono a picco i nordcoreani. A ciò si aggiunse il crollo del muro di Berlino e l’eclissi dell’intero sistema comunista guidato dall’Urss: un’epoca spartiacque che portò l’instabilità economica dei primi anni Novanta e la fine dei sovvenzionamenti che la Corea riceveva dai Paesi comunisti più forti. Tra inondazioni e fallimento dell’agricoltura collettiva, morirono di fame tra i 2 e i 3 milioni di nordcoreani. Un’ecatombe.
La storia insegna? Cambiano i tempi, cambiano i governi. Trent’anni dopo la Corea del Nord insegue sempre quella del Sud, ma ha saputo cogliere un’occasione per mostrarsi almeno apparentemente diversa: «Il Nord non ha nulla da perdere con questa sua partecipazione – ha dichiarato alla Cnn Joseph Siracusa, professore di diplomazia internazionale all’Università RMIT di Melbourne, Australia – il suo intento è quello di sembrare “normale”, ragionevole. Il suo arrivo a Pyeongchang è una grande vittoria diplomatica, ma non risolve i problemi, se dopo i Giochi torneranno i soliti atteggiamenti e la minaccia delle armi nucleari».
Gli Usa sempre in allerta Al di là della delicatissima posizione in cui si trova Seul, sono gli Stati Uniti i primi a non farsi illusioni: «Non permetteremo alla propaganda della Corea del Nord di dirottare il messaggio e le immagini dei Giochi – ha detto il vicepresidente Mike Pence – la loro strategia non ci ha ingannati. Siamo qui anche per stare con i nostri alleati e per ricordare al mondo che la Corea del Nord è il regime più tirannico e oppressivo del pianeta». Pence ha incontrato i disertori nordcoreani, e ha portato con sé il padre di Otto Warmbier, lo studente americano imprigionato a Pyongyang e deceduto negli Usa per i danni riportati in carcere. Propaganda contro propaganda, quindi. In attesa del prossimo round, una volta finite le Olimpiadi invernali.