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Diritto di critica | November 21, 2024

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Fiorello salva Sanremo, i top e i flop di inizio Festival 2018

Brevi appunti sulla serata dell'Ariston, tra classico e (tentato) moderno. A vincere è lo showman, invitato speciale e mattatore come sempre

Il direttore Claudio Baglioni, truccato e tiratissimo, ha una voce perfetta, anche nel condurre, ma di fatto conduce assai poco. Lascia volutamente spazio ai suoi compagni d’avventura, ma sembra sempre fuori posto: arriva, parla, parla, canticchia, saluta, saltella, se ne va. E avanti così per quattro ore, con un’espressività e una disinvoltura pari a quelle che potrebbe avere più o meno una statua di marmo. Speriamo si sciolga con il passare delle serate.

I conduttori Michelle Hunziker è brava e spontanea, ma a volte si lascia prendere la mano e sembra di stare alla sagra della porchetta di Ariccia. Ripete di continuo “Siamo sul palco di Sanremo”, probabilmente per ricordarsi dove si trova e darsi un contegno; le sue risatine dopo un po’ non evocano naturalezza, ma procurano solo un certo fastidio. Forse, tuttavia, dopo quattro ore di Festival ti disturberebbe anche una piuma che cade sul pavimento. Pierfrancesco Favino è un attore, e si vede. Sul palco sta bene e tenta di essere coinvolgente, ma per adesso non convince del tutto, anche perché lo hanno costretto a gag e battute fin troppo scontate, un po’ fuori moda.

L’invitato speciale Fiorello è sempre Fiorello, rimanendo in tema di slogan sanremesi. È lui che salva baracca e burattini di una puntata iniziata malino, e che preannunciava noia. Sono bastate due battute, una su Baglioni con cui dice di girare la sera in cerca di “compagnia”, e l’altra sugli highlander Pooh (“come ti giri ne vedi uno”) per sciogliere l’Ariston e cambiare (almeno per un po’) la serata. Lo showman canta, improvvisa, duetta con Baglioni e lo smuove dalla sua apatia. Un vero professionista: avresti scansato volentieri gli altri conduttori per lasciargli il palco, fino a sabato.

I cantanti: i grandi “classici” Di colpo ti senti a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta: Ron, pezzi di Pooh (ha ragione Fiorello, dopo essersi sciolti si sono rimoltiplicati), Luca Barbarossa (che non invecchia mai), Enrico Ruggeri e i suoi Decibel. Peccato la mancanza di Zarrillo o Raf, avremmo completato il quadro. Facchinetti e Fogli si buttano sul malinconico, Red Canzian sul ritmo alla “Flashdance”, Ron canta un inedito di Lucio Dalla, ma purtroppo per lui la voce non è la stessa, e si sente. Fuori da ogni catalogazione l’eterna Ornella Vanoni, che con Pacifico e Bungaro dimostra ancora classe ed eleganza vocale.

Un primo ascolto In generale, comunque, le canzoni non sembrano male: bellissimo il testo sulla paura del terrorismo di Ermal Meta e Fabrizio Moro, inspiegabili invece Lo Stato Sociale e la performance della signora anziana che danza. Troppo jazz e in un italiano faticoso per Mario Biondi. Un po’ banali i pezzi delle altre donne del Festival (Annalisa, Noemi, Nina Zilli), carina invece la canzone di arrivederci di Elio e le Storie Tese, prossimi allo scioglimento, che hanno dato come sempre colore al palco (stavolta in versione India). Ma già stasera le sensazioni potrebbero cambiare, con Sanremo è così.

La scenografia Con luci e regia all’avanguardia (ma che a volte spiazza), il teatro Ariston è trasformato in una specie di macchinario, a metà tra una navicella e una gigantesca macchina da presa. È moderno, ma non modernissimo. Orribile la scala che si richiude su se stessa tipo arto di un mostro d’acciaio: l’avremmo evitata volentieri.