“Governo di scopo”, cosa cambia con la svolta di Di Maio
Anche la base del M5s sembra convinta: in caso di vittoria senza maggioranza assoluta, si cercheranno accordi programmatici. Intanto Grillo scorpora il blog dall’organo ufficiale del Movimento.
Alla fine saranno alleanze. Dopo mormorii, discussioni e la smentita di spaccature interne al Movimento sul tema («Non c’è e non c’è mai stata nessuna frattura»), Beppe Grillo rinuncia al panda che mangia solo bambù (similitudine sua) e si “piega” ad un panda quasi “carnivoro”. Lo ha capito Di Maio, a rischio di scontentare i grillini più intransigenti: per il M5s potrebbe essere l’occasione più importante finora mai avuta per governare il Paese e, in caso di un buon risultato alle urne, il treno non si può perdere.
Lo scudo della legge elettorale La linea “dimaista” prevede che in mancanza (molto probabile) di una maggioranza necessaria per formare un governo, si possa fare un accordo con altre forze per un esecutivo “programmatico”, che si basi cioè su una condivisione di temi, su uno specifico programma di 20 punti appena annunciato. La decisione è stata ventilata in stretta connessione con l’odierna legge elettorale, come ha ribadito Alessandro di Battista, intervenuto alla tre giorni di formazione del Movimento, a Pescara: «Hanno fatto una legge contro di noi. O il M5S va al governo o state certi che ci andrà Gentiloni con il Pd e pezzi di Fi, Leu e Lega».
Cosa succederebbe, secondo i 5 stelle Di Maio ha spiegato la nuova mossa dei suoi: «La sera delle elezioni, se non dovessimo aver raggiunto la maggioranza assoluta, faremo un appello pubblico a tutti i gruppi e chiederemo di dare un governo sui temi. No spartizioni di poltrone o di potere». Concetto ribadito dal deputato Danilo Toninelli, che ha illustrato il possibile scenario in caso di un nuovo “patto del Nazareno” tra Pd e Fi: «Se loro non hanno la maggioranza dei seggi, potranno anche fare qualche gruppo di voltagabbana alla Camera. Ma al Senato il nuovo regolamento mette un freno: i gruppi dovranno essere formati almeno da liste presenti sulla scheda elettorale. Sarà più difficile formare nuovi gruppi, e se vanno nel gruppo misto, quello non ha la struttura per garantire stabilmente una maggioranza. Quindi noi saremo decisivi».
Accordo o alleanza? In vista di elezioni quanto mai incerte e precedute da una campagna elettorale spiazzante, anche tra i grillini, quindi, prevale (almeno per ora) il pragmatismo, che si tradurrebbe, se necessario, in un accordo con “Liberi e Uguali” di Piero Grasso, l’interlocutore più papabile per molti “dimaiani”. Allo storcere del naso dei pentastellati più integralisti si affretta a rispondere e tranquillizzare tutti l’ex direttore di Sky Tg24, Emilio Carelli, candidato del M5s: «Capisco la volontà di Grillo di non compromettersi con gli altri, contaminando il Movimento con chi ha sempre combattuto. Ma alleanza non significa compromesso – ha dichiarato a “La Stampa” – nel momento in cui ti proponi come forza di governo è tuo dovere valutare la situazione dopo il voto, se il Movimento da solo non avrà la maggioranza in Parlamento. Tenendo sempre presente che alleanza non vuol dire spartirsi le poltrone, ma cercare convergenze sul programma». Che alla fine non è molto diverso da quello che dichiarano gli altri partiti.
Alla fine saranno alleanze. Dopo mormorii, discussioni e la smentita di spaccature interne al Movimento sul tema («Non c’è e non c’è mai stata nessuna frattura»), Beppe Grillo rinuncia al panda che mangia solo bambù (similitudine sua) e si “piega” ad un panda quasi “carnivoro”. Lo ha capito Di Maio, a rischio di scontentare i grillini più intransigenti: per il M5s potrebbe essere l’occasione più importante finora mai avuta per governare il Paese e, in caso di un buon risultato alle urne, il treno non si può perdere.
Lo scudo della legge elettorale La linea “dimaista” prevede che in mancanza (molto probabile) di una maggioranza necessaria per formare un governo, si possa fare un accordo con altre forze per un esecutivo “programmatico”, che si basi cioè su una condivisione di temi, su uno specifico programma di 20 punti appena annunciato. La decisione è stata ventilata in stretta connessione con l’odierna legge elettorale, come ha ribadito Alessandro di Battista, intervenuto alla tre giorni di formazione del Movimento, a Pescara: «Hanno fatto una legge contro di noi. O il M5S va al governo o state certi che ci andrà Gentiloni con il Pd e pezzi di Fi, Leu e Lega».
Cosa succederebbe, secondo i 5 stelle Di Maio ha spiegato la nuova mossa dei suoi: «La sera delle elezioni, se non dovessimo aver raggiunto la maggioranza assoluta, faremo un appello pubblico a tutti i gruppi e chiederemo di dare un governo sui temi. No spartizioni di poltrone o di potere». Concetto ribadito dal deputato Danilo Toninelli, che ha illustrato il possibile scenario in caso di un nuovo “patto del Nazareno” tra Pd e Fi: «Se loro non hanno la maggioranza dei seggi, potranno anche fare qualche gruppo di voltagabbana alla Camera. Ma al Senato il nuovo regolamento mette un freno: i gruppi dovranno essere formati almeno da liste presenti sulla scheda elettorale. Sarà più difficile formare nuovi gruppi, e se vanno nel gruppo misto, quello non ha la struttura per garantire stabilmente una maggioranza. Quindi noi saremo decisivi».
Accordo o alleanza? In vista di elezioni quanto mai incerte e precedute da una campagna elettorale spiazzante, anche tra i grillini, quindi, prevale (almeno per ora) il pragmatismo, che si tradurrebbe, se necessario, in un accordo con “Liberi e Uguali” di Piero Grasso, l’interlocutore più papabile per molti “dimaiani”. Allo storcere del naso dei pentastellati più integralisti si affretta a rispondere e tranquillizzare tutti l’ex direttore di Sky Tg24, Emilio Carelli, candidato del M5s: «Capisco la volontà di Grillo di non compromettersi con gli altri, contaminando il Movimento con chi ha sempre combattuto. Ma alleanza non significa compromesso – ha dichiarato a “La Stampa” – nel momento in cui ti proponi come forza di governo è tuo dovere valutare la situazione dopo il voto, se il Movimento da solo non avrà la maggioranza in Parlamento. Tenendo sempre presente che alleanza non vuol dire spartirsi le poltrone, ma cercare convergenze sul programma». Che alla fine non è molto diverso da quello che dichiarano gli altri partiti.