Nord Corea, i dubbi di Trump e il bivio con la Cina
Kim Jong-un non frena i suoi deliri di onnipotenza, continuando i test balistici. Dopo l’ennesima condanna internazionale, Trump ora punta tutto sulla Cina, ma dovrebbe accettare la sua strategia
Il missile più potente finora mai lanciato, un inferno di fuoco e luce nel Mar del Giappone che riaccende nuove paure e tensioni lasciate covare dalla scorsa estate. A luglio era il missile Hwasong-14 il gioiello di Kim Jong-un, emblema dell’esibizione di potenza della Corea del Nord, in aperto conflitto con gli Stati Uniti; oggi è il Hwasong-15, il supermissile esaltato da tutti i media locali, capace di coprire un raggio d’azione di ben 13mila chilometri: «Abbiamo realizzato un’impresa storica, siamo in grado di colpire l’intero territorio degli Usa». Il razzo ha percorso, nella notte tra il 28 e il 29 novembre, 950 chilometri in meno di un’ora, arrivando ad un’altezza di 4475 chilometri. Una dimostrazione fatta ufficialmente solo per «difendere l’integrità e la sovranità della Corea del Nord dai ricatti imperialisti degli americani», ma che conferma l’intransigenza del dittatore e il proseguimento del suo progetto di armamento. Gli analisti mondiali non hanno la certezza dell’efficacia dei missili di Pyongyang in un reale attacco, ma a fronte dell’ennesima provocazione, Trump è deciso ad individuare la strategia più giusta. Alle Hawaii è stato addirittura ripristinato il sistema di allarme antiatomico in funzione durante la Guerra Fredda con la Russia.
La condanna del mondo e le strategie Anche questa volta non sono tardate le condanne da parte di Stati e organismi internazionali, con la promessa di nuove sanzioni, per ora non comminate dal Consiglio di Sicurezza riunitosi in emergenza su richiesta del primo ministro giapponese Abe, in accordo con Stati Uniti e Corea del Sud. Sempre lapidarie e inquietanti le parole dell’ambasciatore Usa all’Onu, Nikki Haley: «Le scelte di Pyongyang ci stanno portando più vicino alla guerra. Noi non cerchiamo il conflitto, ma se avvenisse sarebbe a causa dei continui atti di aggressione di cui siamo testimoni oggi. Se ci sarà la guerra, il regime verrà completamente distrutto». La Haley ha chiesto ancora a tutte le Nazioni di isolare la Corea del Nord, tagliando le relazioni commerciali, scientifiche, culturali, e di «espellere tutti i lavoratori nordcoreani».
L’importanza della Cina Trump prende tempo, ma a breve dovrà scegliere la mossa da fare: secondo alcuni esperti la Casa Bianca starebbe pensando perfino ad un blocco navale, come accadde nel 1962 nei confronti di Cuba. Intanto il Presidente americano promette ulteriori sanzioni e chiede con nuova forza alla Cina di intervenire e prendere una posizione forte. Il Paese del Dragone diventa così un vero e proprio jolly per gli Stati Uniti e la Comunità internazionale, che hanno visto finora la poca efficacia, almeno sul breve periodo, dei moniti e delle limitazioni alla Corea del Nord. Pechino però, come ha sempre ribadito, vuole negoziati e dialogo, e Trump dovrà quindi adattarsi al “metodo” cinese, con la speranza che il dittatore nordcoreano possa convincersi ad aprire una trattativa, ora che dal suo punto di vista ha raggiunto una posizione di forza. Le grandi potenze puntano alla denuclearizzazione della penisola, ma l’impressione è che si possa negoziare ed intervenire, almeno per ora, sul ridimensionamento, e sul blocco di quelle che sembrano concretamente, nonostante i giri di parole nordcoreani, minacce di guerra. Per un’azione più radicale sull’armamento atomico di Pyongyang, forse, potrebbe essere troppo tardi.
Il missile più potente finora mai lanciato, un inferno di fuoco e luce nel Mar del Giappone che riaccende nuove paure e tensioni lasciate covare dalla scorsa estate. A luglio era il missile Hwasong-14 il gioiello di Kim Jong-un, emblema dell’esibizione di potenza della Corea del Nord, in aperto conflitto con gli Stati Uniti; oggi è il Hwasong-15, il supermissile esaltato da tutti i media locali, capace di coprire un raggio d’azione di ben 13mila chilometri: «Abbiamo realizzato un’impresa storica, siamo in grado di colpire l’intero territorio degli Usa». Il razzo ha percorso, nella notte tra il 28 e il 29 novembre, 950 chilometri in meno di un’ora, arrivando ad un’altezza di 4475 chilometri. Una dimostrazione fatta ufficialmente solo per «difendere l’integrità e la sovranità della Corea del Nord dai ricatti imperialisti degli americani», ma che conferma l’intransigenza del dittatore e il proseguimento del suo progetto di armamento. Gli analisti mondiali non hanno la certezza dell’efficacia dei missili di Pyongyang in un reale attacco, ma a fronte dell’ennesima provocazione, Trump è deciso ad individuare la strategia più giusta. Alle Hawaii è stato addirittura ripristinato il sistema di allarme antiatomico in funzione durante la Guerra Fredda con la Russia.
La condanna del mondo e le strategie Anche questa volta non sono tardate le condanne da parte di Stati e organismi internazionali, con la promessa di nuove sanzioni, per ora non comminate dal Consiglio di Sicurezza riunitosi in emergenza su richiesta del primo ministro giapponese Abe, in accordo con Stati Uniti e Corea del Sud. Sempre lapidarie e inquietanti le parole dell’ambasciatore Usa all’Onu, Nikki Haley: «Le scelte di Pyongyang ci stanno portando più vicino alla guerra. Noi non cerchiamo il conflitto, ma se avvenisse sarebbe a causa dei continui atti di aggressione di cui siamo testimoni oggi. Se ci sarà la guerra, il regime verrà completamente distrutto». La Haley ha chiesto ancora a tutte le Nazioni di isolare la Corea del Nord, tagliando le relazioni commerciali, scientifiche, culturali, e di «espellere tutti i lavoratori nordcoreani».
L’importanza della Cina Trump prende tempo, ma a breve dovrà scegliere la mossa da fare: secondo alcuni esperti la Casa Bianca starebbe pensando perfino ad un blocco navale, come accadde nel 1962 nei confronti di Cuba. Intanto il Presidente americano promette ulteriori sanzioni e chiede con nuova forza alla Cina di intervenire e prendere una posizione forte. Il Paese del Dragone diventa così un vero e proprio jolly per gli Stati Uniti e la Comunità internazionale, che hanno visto finora la poca efficacia, almeno sul breve periodo, dei moniti e delle limitazioni alla Corea del Nord. Pechino però, come ha sempre ribadito, vuole negoziati e dialogo, e Trump dovrà quindi adattarsi al “metodo” cinese, con la speranza che il dittatore nordcoreano possa convincersi ad aprire una trattativa, ora che dal suo punto di vista ha raggiunto una posizione di forza. Le grandi potenze puntano alla denuclearizzazione della penisola, ma l’impressione è che si possa negoziare ed intervenire, almeno per ora, sul ridimensionamento, e sul blocco di quelle che sembrano concretamente, nonostante i giri di parole nordcoreani, minacce di guerra. Per un’azione più radicale sull’armamento atomico di Pyongyang, forse, potrebbe essere troppo tardi.