La guerra infinita contro gli Stati Uniti
Neonazisti, anarchici e jihad. Ripercorriamo tutti gli attacchi all'America prima dell'11 settembre del 2001
Prima di quell’11 settembre di sedici anni fa gli Stati Uniti, in quanto principale potenza economica e militare, hanno subito numerosi attentati. Fin dai primi del Novecento, sia sul suolo americano che nelle ambasciate o nelle sedi militari presenti in Libano, Yemen, Arabia, Iran, Pakistan, Iraq. Quella contro il terrorismo è stata definita la guerra più sanguinosa combattuta dagli Usa dopo il Vietnam.
La scia di sangue che ha accompagnato spesso le iniziative statunitensi in difesa della democrazia e del ruolo di bilanciere mondiale, porta la firma del fondamentalismo islamico; ma l’America ha tremato anche per attentati di stampo politico, neonazista, antisemita, indipendentista. Scorrendo gli annali troviamo vari tentativi di colpire la potenza occidentale al di fuori dei propri confini.
Negli anni Ottanta la polveriera Libano è teatro di due terribili attacchi contro ambasciata e caserma americane: nel 1983 in aprile ed ottobre muoiono rispettivamente 63 persone (17 americani) e 241 soldati statunitensi di stanza a Beirut. L’anno successivo l’obiettivo è ancora l’ambasciata: 16 morti e 90 feriti, strage rivendicata dalla Jihad islamica. Nel dicembre 1988 un Boeing 747 della Pan American World Airways, imbottito di esplosivo nella stiva, si schianta sulla cittadina scozzese di Lockerbie, causando 270 morti. Il disastro aereo, il più grave prima dei dirottamenti dell’11 settembre 2001, è stato attribuito ai servizi segreti libici. Tra il 1995 e il 1998 lo sceicco Bin Laden e la sua organizzazione criminale Al Qaeda sferrano i primi colpi contro il nemico occidentale: in tre anni vengono colpiti il centro militare statunitense in Arabia Saudita e le ambasciate in Tanzania e Kenya (a Nairobi muoiono 222 persone, i feriti sono oltre 4mila).
Ma gli attentati che più fanno male ad una Nazione sono quelli che avvengono in patria. La potente, la previdente e la super sicura America ha dovuto arrendersi varie volte al fondamentalismo islamico o al terrorismo di altra matrice, pugnalata direttamente al cuore. A cominciare dall’esplosione nel centro economico di Wall Street (nuovamente colpito, senza vittime, nel 2000), che nel 1920 causò 40 vittime e fu attribuita all’anarchico italiano Mario Buda, arrabbiato con il capitalismo e con la società americana. Dagli anni Settanta le autobombe costituiscono il nemico più invisibile e più devastante. Nel 1975 scoppia un ordigno all’aeroporto La Guardia di New York, uccidendo 11 persone.
Nel 1993 accade quella che secondo molti è stata la prova generale degli attentati del 2001. La mattina del 26 febbraio un’autobomba esplode nel garage interrato del World Trade Center: i morti sono 6, oltre mille i feriti, e i danni strutturali ammontano a 500 miliardi di dollari. I quattro responsabili, considerati uomini di Bin Laden, vengono arrestati e condannati nei mesi successivi. Uno di loro, Ramzi Yousef, catturato in Pakistan nel 1995, risulta essere nipote di Khalid Sheik Mohamed, l’organizzatore degli attacchi dell’11 settembre. Secondo alcune fonti, Yousef, ideatore dell’ordigno, avrebbe mescolato esplosivo e sali di cianuro, con lo scopo di avvelenare migliaia di persone. Fortunatamente la miscela letale ha funzionato solo a metà.
Tra il 1995 e il 1996 gli ultimi due colpi al cuore americano.Il 19 aprile 1995 il neonazista Timothy McVeigh, veterano della guerra del Golfo, fa esplodere un camion pieno di tritolo davanti al palazzo federale di Oklahoma City: 168 morti e 500 feriti. E l’anno dopo, anno di Olimpiadi in terra d’America, un Jumbo 747 della Twa esplode dopo il decollo da New York e si inabissa al largo di Long Island. È il 17 luglio 1996. Le vittime sono 230, tra esse 9 italiani. Ad oggi il disastro aereo non ha un responsabile, ma resta aperta anche la pista islamica.
Prima di quell’11 settembre di sedici anni fa gli Stati Uniti, in quanto principale potenza economica e militare, hanno subito numerosi attentati. Fin dai primi del Novecento, sia sul suolo americano che nelle ambasciate o nelle sedi militari presenti in Libano, Yemen, Arabia, Iran, Pakistan, Iraq. Quella contro il terrorismo è stata definita la guerra più sanguinosa combattuta dagli Usa dopo il Vietnam.
La scia di sangue che ha accompagnato spesso le iniziative statunitensi in difesa della democrazia e del ruolo di bilanciere mondiale, porta la firma del fondamentalismo islamico; ma l’America ha tremato anche per attentati di stampo politico, neonazista, antisemita, indipendentista. Scorrendo gli annali troviamo vari tentativi di colpire la potenza occidentale al di fuori dei propri confini.
Negli anni Ottanta la polveriera Libano è teatro di due terribili attacchi contro ambasciata e caserma americane: nel 1983 in aprile ed ottobre muoiono rispettivamente 63 persone (17 americani) e 241 soldati statunitensi di stanza a Beirut. L’anno successivo l’obiettivo è ancora l’ambasciata: 16 morti e 90 feriti, strage rivendicata dalla Jihad islamica. Nel dicembre 1988 un Boeing 747 della Pan American World Airways, imbottito di esplosivo nella stiva, si schianta sulla cittadina scozzese di Lockerbie, causando 270 morti. Il disastro aereo, il più grave prima dei dirottamenti dell’11 settembre 2001, è stato attribuito ai servizi segreti libici. Tra il 1995 e il 1998 lo sceicco Bin Laden e la sua organizzazione criminale Al Qaeda sferrano i primi colpi contro il nemico occidentale: in tre anni vengono colpiti il centro militare statunitense in Arabia Saudita e le ambasciate in Tanzania e Kenya (a Nairobi muoiono 222 persone, i feriti sono oltre 4mila).
Ma gli attentati che più fanno male ad una Nazione sono quelli che avvengono in patria. La potente, la previdente e la super sicura America ha dovuto arrendersi varie volte al fondamentalismo islamico o al terrorismo di altra matrice, pugnalata direttamente al cuore. A cominciare dall’esplosione nel centro economico di Wall Street (nuovamente colpito, senza vittime, nel 2000), che nel 1920 causò 40 vittime e fu attribuita all’anarchico italiano Mario Buda, arrabbiato con il capitalismo e con la società americana. Dagli anni Settanta le autobombe costituiscono il nemico più invisibile e più devastante. Nel 1975 scoppia un ordigno all’aeroporto La Guardia di New York, uccidendo 11 persone.
Nel 1993 accade quella che secondo molti è stata la prova generale degli attentati del 2001. La mattina del 26 febbraio un’autobomba esplode nel garage interrato del World Trade Center: i morti sono 6, oltre mille i feriti, e i danni strutturali ammontano a 500 miliardi di dollari. I quattro responsabili, considerati uomini di Bin Laden, vengono arrestati e condannati nei mesi successivi. Uno di loro, Ramzi Yousef, catturato in Pakistan nel 1995, risulta essere nipote di Khalid Sheik Mohamed, l’organizzatore degli attacchi dell’11 settembre. Secondo alcune fonti, Yousef, ideatore dell’ordigno, avrebbe mescolato esplosivo e sali di cianuro, con lo scopo di avvelenare migliaia di persone. Fortunatamente la miscela letale ha funzionato solo a metà.
Tra il 1995 e il 1996 gli ultimi due colpi al cuore americano.Il 19 aprile 1995 il neonazista Timothy McVeigh, veterano della guerra del Golfo, fa esplodere un camion pieno di tritolo davanti al palazzo federale di Oklahoma City: 168 morti e 500 feriti. E l’anno dopo, anno di Olimpiadi in terra d’America, un Jumbo 747 della Twa esplode dopo il decollo da New York e si inabissa al largo di Long Island. È il 17 luglio 1996. Le vittime sono 230, tra esse 9 italiani. Ad oggi il disastro aereo non ha un responsabile, ma resta aperta anche la pista islamica.