Addio Fantozzi, l'italiano medio - Diritto di critica
È morto questa notte Paolo Villaggio. Con il suo personaggio ha raccontato noi e le nostre inettitudini
Inetto, disperato e sfortunato. Talvolta cattivo, ma sicuramente sempre umano. Era il ragioniere Ugo Fantozzi, era Paolo Villaggio che se ne va in un lunedì mattina come tanti, come uno dei tanti era Fantozzi, un vero italiano medio con le sue frustrazioni e le sue piccole rivincite.
Paolo Villaggio non era solo il suo sfortunato personaggio perseguitato da una nuvola “personale” o vessato dal grande direttore megagalattico. È stato un attore completo che si muoveva agilmente tra ruoli comici e ruoli drammatici. Ma certamente sarà ricordato nei prossimi decenni per Fantozzi. Forse perché con lui non ci ha fatto solo ridere. Attraverso le sue disavventure ci ha fatto riflettere. Riflettere sulla nostra società, su una borghesia meschina e attaccata ad effimeri cliché, sul mondo aziendale degli anni sessanta e settanta, e su tutte le cattive abitudini degli italiani, quelle abitudini che, ahinoi, non abbiamo mai perso.
Fantozzi era tutti noi. Era l’uomo che non avremmo mai voluto essere, con un lavoro modesto, con un’auto insignificante, con una moglie sciatta e remissiva e una figlia bruttissima. Ma tifavamo per lui quando cercava di evadere dalla routine, quando provava inutilmente a conquistare l’esuberante signorina Silvani, donna rozza e non bella ma decisamente appariscente. E lo ricorderemo anche per le sue sortite con il fido collega Filini e i congiuntivi sempre e comunque sbagliati.
Addio Fantozzi. Con te va via l’Italia del “boom economico” e di un lavoro impiegatizio che oggi non c’è più. Rimangono i cliché di una società che fatica a cambiare, fatica a guardare oltre il suo naso e che da troppo tempo non sa più sognare.
Inetto, disperato e sfortunato. Talvolta cattivo, ma sicuramente sempre umano. Era il ragioniere Ugo Fantozzi, era Paolo Villaggio che se ne va in un lunedì mattina come tanti, come uno dei tanti era Fantozzi, un vero italiano medio con le sue frustrazioni e le sue piccole rivincite.
Paolo Villaggio non era solo il suo sfortunato personaggio perseguitato da una nuvola “personale” o vessato dal grande direttore megagalattico. È stato un attore completo che si muoveva agilmente tra ruoli comici e ruoli drammatici. Ma certamente sarà ricordato nei prossimi decenni per Fantozzi. Forse perché con lui non ci ha fatto solo ridere. Attraverso le sue disavventure ci ha fatto riflettere. Riflettere sulla nostra società, su una borghesia meschina e attaccata ad effimeri cliché, sul mondo aziendale degli anni sessanta e settanta, e su tutte le cattive abitudini degli italiani, quelle abitudini che, ahinoi, non abbiamo mai perso.
Fantozzi era tutti noi. Era l’uomo che non avremmo mai voluto essere, con un lavoro modesto, con un’auto insignificante, con una moglie sciatta e remissiva e una figlia bruttissima. Ma tifavamo per lui quando cercava di evadere dalla routine, quando provava inutilmente a conquistare l’esuberante signorina Silvani, donna rozza e non bella ma decisamente appariscente. E lo ricorderemo anche per le sue sortite con il fido collega Filini e i congiuntivi sempre e comunque sbagliati.
Addio Fantozzi. Con te va via l’Italia del “boom economico” e di un lavoro impiegatizio che oggi non c’è più. Rimangono i cliché di una società che fatica a cambiare, fatica a guardare oltre il suo naso e che da troppo tempo non sa più sognare.