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Diritto di critica | November 21, 2024

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Ma la vera crisi è nel Partito Democratico

Qualsiasi sia il risultato del referendum, il premier dovrà riorganizzare il Pd. Mentre l'opposizione resta frastagliata e confusa

Al referendum mancano ormai pochi giorni, e l’unica certezza, ad oggi, è che quello che doveva essere un passaggio di approvazione di una riforma costituzionale è divenuto una prova di forza sul governo Renzi. E a poco servono gli appelli del premier a considerare “il merito” del referendum, la realtà racconta di mercati che aspettano l’Italia al varco, con scenari apocalittici in caso di vittoria del NO. Che queste previsioni siano valide o meno, non è semplice dirlo. Avrebbe dovuto essere un terremoto anche la Brexit, ma di fatto l’Europa sta reagendo all’addio della Gran Bretagna. E anche se il governo Renzi dovesse uscire “sconfitto” da questo referendum, nell’immediato probabilmente non cambierebbe molto. La crisi politica, infatti, è già in atto e il voto di domenica avrebbe forse solo il merito di rendere ancor più esplicita questo equilibrio precario, prossimo al collasso. Una crisi che andrebbe in qualche modo sanata anche se vincesse il Si.

Matteo Renzi, infatti, è sostanzialmente solo al comando. E su questo referendum ha deciso ingenuamente di giocarsi tutto. L’ha deciso diverso tempo fa, sull’onda di quel 40% raccolto alle elezioni europee che fortunatamente il Pd ha ormai smesso di sbandierare e che ha fornito al premier una illusoria certezza: se si andasse alle elezioni – e nonostante gli scandali – quella percentuale non esisterebbe più, con il Pd impegnato in un testa a testa con il Movimento 5 Stelle. Un buona fetta di italiani – stando ai sondaggi – ha smesso di seguire Matteo Renzi. Di contro, come ha sottolineato anche l’economista Jacques Attali in una intervista al Messaggero, con i referendum “gli elettori tendono a rispondere a chi pone il quesito. La maggioranza degli italiani non dirà se è pro o contro la riforma ma se è pro o contro Renzi”. Attali ha ricordato poi un altro politico che ha commesso l’errore fatto da Renzi: David Cameron, con il voto sulla Brexit.

Eppure, a fronte di una vittoria del SI, Matteo Renzi dovrebbe comunque rivedere l’attuale sistema all’interno della sua maggioranza. Sicuramente il premier ne uscirebbe rafforzato, circostanza che gli permetterebbe di serrare le fila e riorganizzare il Pd, a quel punto a rischio spaccatura. Il tutto in vista delle elezioni del 2018 cui la maggioranza arriverebbe senza troppi scossoni ma che riproporrebbe il dilemma di una opposizione inesistente.

Ed è proprio l’assenza di alternativa la grande incognita in caso di vittoria del NO. Se il governo dovesse “perdere” questo referendum, Renzi uscirebbe sconfitto e lo spettro delle elezioni anticipate graverebbe su una politica confusa, dove l’opposizione attualmente fa registrare un tutti contro tutti abbastanza confuso. Il fronte del NO, infatti, non ha un timone. Pur opponendosi al governo di Matteo Renzi, ciascun partito – dal Movimento 5 Stelle alla Lega Nord, passando per quel che resta di Forza Italia – ha il proprio personalissimo “no”. E in caso di vittoria già alcuni parlano di “coalizione”. Ma in Italia, si sa, le coalizioni possono vincere le elezioni ma difficilmente restano a lungo al governo.

Di contro, in caso di vittoria del NO, il Movimento 5 Stelle sarebbe il partito con più chance di fare una campagna elettorale efficace. Ha gli strumenti, i “personaggi” giusti e una narrativa che riesce ancora – non si sa per quanto, viste le inchieste in corso e i primi deputati “sospesi” – a segnare la differenza. La retorica “contro” sembra avere ancora un certo grip, in un contesto politico confuso e senza una guida. E proprio l’inconsistenza dell’opposizione, nata da patti più o meno azzeccati tra il Pd e gli ex partiti di maggioranza, è la principale carta su cui può contare Matteo Renzi, che non a caso ha parlato di “accozzaglia” schierata contro di lui.

Ma la prospettiva delle elezioni anticipate, con una possibile di vittoria del Movimento 5 Stelle -, il partito che trionfa là dove manca una proposta politica concreta, salvo non riuscire spesso a governare (si veda il caso di Virginia Raggi a Roma, con una città preda della retorica ma immobilizzata dall’assenza di fatti) – il rischio è che l’Italia possa addirittura uscire dall’Europa. Nessuna forza di opposizione – tra quelle favorevoli a mantenere un dialogo costruttivo con Bruxelles – ha infatti una forza tale da sopravanzare Grillo e riuscire a parlare ai cittadini in modo efficace. Ed è questo il principale problema che si porrebbe anche in caso di vittoria del SI, con la sfida elettorale rimandata al 2018.

Renzi, dunque, qualsiasi sia il risultato di questo referendum, sarà comunque chiamato a riorganizzare partito e forze in campo: ad oggi, il PD – diviso e riottoso, con minoranze nelle minoranze – sembra infatti impreparato non solo a gestire lo scossone di una possibile vittoria del NO, ma addirittura ad affrontare con certezza la strada in caso di affermazione del SI.

@emilioftorsello