Caporalato, cosa cambia con la nuova legge - Diritto di critica
Approvato lo scorso 18 ottobre alla Camera il nuovo ddl sul caporalato. Caritas Italiana: ''Ma serve una più diffusa cultura della legalità del lavoro''
Gli schiavi nel nuovo Millennio, in Italia, hanno le mani sporche di terra e di pomodoro, le schiene spezzate, il ricatto cucito sulla pelle dal lavoro pagato due, tre, forse quattro euro l’ora. Sono stranieri e italiani, uomini e donne, vittime di quel sistema di lavoro e illegalità che porta frutta e verdura fresca sulle nostre tavole, facendone pagare il prezzo a migliaia di disperati. Da ora, la situazione potrebbe cambiare: lo scorso 18 ottobre la Camera dei Deputati ha infatti approvato il nuovo disegno di legge contro il cosiddetto caporalato, che si propone di combattere il fenomeno con interventi più repressivi volti a colpire non solo gli intermediari ma anche gli imprenditori che si rivolgano a queste figure.
La nuova legge: cosa cambia
Il fenomeno del caporalato – cioè la forma illegale di reclutamento e organizzazione della manodopera attraverso intermediari che per conto dell’imprenditore e percependo una tangente assumono lavoratori giornalieri al di fuori dei normali canali di collocamento, senza applicare i contratti nazionali e i minimi salariali – era già stato normato nel 2011 con l’introduzione dell’articolo 603-bis nel codice penale, che collocava l’intermediazione e lo sfruttamento del lavoro tra i delitti contro la libertà individuale e li puniva con multe fino a 2mila euro per ciascun lavoratore assoldato e la reclusione da cinque a otto anni: mancava tuttavia una definizione di intermediazione e il riconoscimento dello sfruttamento era subordinato ad una serie di specifiche condotte violente.
Il nuovo disegno di legge – approvato alla Camera con 336 voti favorevoli, nessun contrario e 25 astenuti – supera questa ambiguità e introduce una fattispecie-base che prescinde dalle azioni violente e intimidatorie (che sono invece inserite come sottogenere) e la sanzionabilità anche del datore di lavoro oltre che dell’intermediario. Prevede inoltre un inasprimento degli strumenti penali per la lotta al caporalato, tra cui l’estensione dell’arresto obbligatorio anche al delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, l’estensione della confisca obbligatoria per i medesimi reati di tutti quei beni o utilità di cui il condannato non possa giustificare la provenienza e l’introduzione della responsabilità amministrativa degli enti. Altra novità significativa del nuovo ddl è la decisione di estendere le finalità del Fondo Antitratta (legge n.228 del 2003) anche alle vittime di caporalato, vista la ricorrente contingenza tra la tratta e lo sfruttamento lavorativo. La normativa prevede inoltre un rafforzamento dell’operatività della Rete del lavoro agricolo di qualità, attiva da settembre 2015, la quale potrà includere anche gli sportelli unici per l’immigrazione, le istituzioni locali, i centro per l’impiego e gli enti bilaterali costituiti dalle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori in agricoltura e i soggetti abilitati al trasporto di persone per il trasporto dei lavoratori agricoli.
Ma cosa cambierà nel concreto dopo l’approvazione della norma? «Sostanzialmente poco – spiega Oliviero Forti, responsabile del settore Immigrazione di Caritas Italiana -; una legge funziona quando viene rispettata da tutti coloro che sono coinvolti nella filiera: si sono già visti interventi normativi in materia negli ultimi anni, a cui però è seguito ben poco. Ben venga quindi la connotazione repressiva della nuova legge e l’inasprimento delle sanzioni anche a carico dei datori di lavoro, che si sentiranno più responsabili nella gestione dell’attività: purché si tenga conto della necessità di attrezzarsi per far sì che tali azioni abbiano efficacia. Sappiamo – continua Forti – che non di rado ci sono questioni organizzative e di fondi che impediscono l’ordinaria attività degli ispettori, ad esempio, che faticano a trovare sul territorio le risorse adeguate affinché i controlli siano efficaci». Secondo Forti, all’inasprimento normativo deve necessariamente seguire «un investimento sulla cultura della legalità: il mondo del lavoro è un mondo il cui il rispetto dei diritti è poco praticato a tutti i livelli, e il caporalato si inserisce nelle diffuse sacche di irregolarità che sono frutto di una cultura dell’illegalità ad ampio spettro. Ricordiamoci che il caporalato è un problema, non l’unico problema, e che colpire il caporale è come colpire gli scafisti: non significa risolvere il problema dello sfruttamento in agricoltura, così come colpire gli scafisti non risolve le problematiche legate all’immigrazione».
Il caporalato: stime e caratteristiche di un fenomeno ancora sotto traccia
I numeri sul fenomeno del caporalato in Italia viaggiano ancora a livello di stime: se da un lato, infatti, negli ultimi anni i drammatici fatti di cronaca – la morte di alcuni lavoratori sfruttati nel settore agricolo o le inchieste sulle violenze e sui ricatti operati sulle donne impiegate nel settore – hanno contribuito ad informare l’opinione pubblica delle condizioni miserevoli in cui erano costretti a lavorare moltissimi impiegati in agricoltura ed edilizia in tutta Italia, dall’altro la tipologia stessa del fenomeno si nutre perlopiù di “invisibili” e quindi difficilmente quantificabili, come immigrati irregolari e vittime di tratta. Nel “Terzo Rapporto Agromafie e Caporalato” redatto dall’Osservatorio Placido Rizzotto della FLAI-CGIL nel maggio 2016, si calcola che in Italia i lavoratori irregolari in agricoltura – principale ambito nel quale si riscontrano fenomeni di caporalato, insieme all’edilizia – e potenziali vittime di caporalato siano tra 400mila e 430mila, in settore come quello agricolo nel quale l’irregolarità, l’informale e il sommerso muovono annualmente cifre comprese tra i 2 e i 5 miliardi di euro. Il rapporto evidenzia come il lavoro sotto caporale sia caratterizzato da un salario inferiore di circa il 50% rispetto a quanto previsto dai CCNL e CPL, da orari di lavoro che variano dalle 8 alle 12 ore al giorno e da un inesistente tutela in termini di diritti contrattuali e di sicurezza sul lavoro.
«I settori più colpiti sono l’agricoltura e l’edilizia – spiega ancora Forti -. Sono state riscontrate anche intermediazioni nell’ambito della collaborazione domestica, ma certamente con dinamiche meno pressanti e feroci. Quanto alla collocazione geografica, sebbene sia ormai un dato certo il fatto che il caporalato sia fenomeno trasversale in tutta Italia, è anche vero che al Sud sia molto più visibile: si pensi ai grandi ghetti e agli accampamenti in cui vivono i lavoratori agricoli. Gli aspetti distintivi tra Nord e Sud sono soprattutto nella manifestazione del fenomeno».
Gli schiavi nel nuovo Millennio, in Italia, hanno le mani sporche di terra e di pomodoro, le schiene spezzate, il ricatto cucito sulla pelle dal lavoro pagato due, tre, forse quattro euro l’ora. Sono stranieri e italiani, uomini e donne, vittime di quel sistema di lavoro e illegalità che porta frutta e verdura fresca sulle nostre tavole, facendone pagare il prezzo a migliaia di disperati. Da ora, la situazione potrebbe cambiare: lo scorso 18 ottobre la Camera dei Deputati ha infatti approvato il nuovo disegno di legge contro il cosiddetto caporalato, che si propone di combattere il fenomeno con interventi più repressivi volti a colpire non solo gli intermediari ma anche gli imprenditori che si rivolgano a queste figure.
La nuova legge: cosa cambia
Il fenomeno del caporalato – cioè la forma illegale di reclutamento e organizzazione della manodopera attraverso intermediari che per conto dell’imprenditore e percependo una tangente assumono lavoratori giornalieri al di fuori dei normali canali di collocamento, senza applicare i contratti nazionali e i minimi salariali – era già stato normato nel 2011 con l’introduzione dell’articolo 603-bis nel codice penale, che collocava l’intermediazione e lo sfruttamento del lavoro tra i delitti contro la libertà individuale e li puniva con multe fino a 2mila euro per ciascun lavoratore assoldato e la reclusione da cinque a otto anni: mancava tuttavia una definizione di intermediazione e il riconoscimento dello sfruttamento era subordinato ad una serie di specifiche condotte violente.
Il nuovo disegno di legge – approvato alla Camera con 336 voti favorevoli, nessun contrario e 25 astenuti – supera questa ambiguità e introduce una fattispecie-base che prescinde dalle azioni violente e intimidatorie (che sono invece inserite come sottogenere) e la sanzionabilità anche del datore di lavoro oltre che dell’intermediario. Prevede inoltre un inasprimento degli strumenti penali per la lotta al caporalato, tra cui l’estensione dell’arresto obbligatorio anche al delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, l’estensione della confisca obbligatoria per i medesimi reati di tutti quei beni o utilità di cui il condannato non possa giustificare la provenienza e l’introduzione della responsabilità amministrativa degli enti. Altra novità significativa del nuovo ddl è la decisione di estendere le finalità del Fondo Antitratta (legge n.228 del 2003) anche alle vittime di caporalato, vista la ricorrente contingenza tra la tratta e lo sfruttamento lavorativo. La normativa prevede inoltre un rafforzamento dell’operatività della Rete del lavoro agricolo di qualità, attiva da settembre 2015, la quale potrà includere anche gli sportelli unici per l’immigrazione, le istituzioni locali, i centro per l’impiego e gli enti bilaterali costituiti dalle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori in agricoltura e i soggetti abilitati al trasporto di persone per il trasporto dei lavoratori agricoli.
Ma cosa cambierà nel concreto dopo l’approvazione della norma? «Sostanzialmente poco – spiega Oliviero Forti, responsabile del settore Immigrazione di Caritas Italiana -; una legge funziona quando viene rispettata da tutti coloro che sono coinvolti nella filiera: si sono già visti interventi normativi in materia negli ultimi anni, a cui però è seguito ben poco. Ben venga quindi la connotazione repressiva della nuova legge e l’inasprimento delle sanzioni anche a carico dei datori di lavoro, che si sentiranno più responsabili nella gestione dell’attività: purché si tenga conto della necessità di attrezzarsi per far sì che tali azioni abbiano efficacia. Sappiamo – continua Forti – che non di rado ci sono questioni organizzative e di fondi che impediscono l’ordinaria attività degli ispettori, ad esempio, che faticano a trovare sul territorio le risorse adeguate affinché i controlli siano efficaci». Secondo Forti, all’inasprimento normativo deve necessariamente seguire «un investimento sulla cultura della legalità: il mondo del lavoro è un mondo il cui il rispetto dei diritti è poco praticato a tutti i livelli, e il caporalato si inserisce nelle diffuse sacche di irregolarità che sono frutto di una cultura dell’illegalità ad ampio spettro. Ricordiamoci che il caporalato è un problema, non l’unico problema, e che colpire il caporale è come colpire gli scafisti: non significa risolvere il problema dello sfruttamento in agricoltura, così come colpire gli scafisti non risolve le problematiche legate all’immigrazione».
Il caporalato: stime e caratteristiche di un fenomeno ancora sotto traccia
I numeri sul fenomeno del caporalato in Italia viaggiano ancora a livello di stime: se da un lato, infatti, negli ultimi anni i drammatici fatti di cronaca – la morte di alcuni lavoratori sfruttati nel settore agricolo o le inchieste sulle violenze e sui ricatti operati sulle donne impiegate nel settore – hanno contribuito ad informare l’opinione pubblica delle condizioni miserevoli in cui erano costretti a lavorare moltissimi impiegati in agricoltura ed edilizia in tutta Italia, dall’altro la tipologia stessa del fenomeno si nutre perlopiù di “invisibili” e quindi difficilmente quantificabili, come immigrati irregolari e vittime di tratta. Nel “Terzo Rapporto Agromafie e Caporalato” redatto dall’Osservatorio Placido Rizzotto della FLAI-CGIL nel maggio 2016, si calcola che in Italia i lavoratori irregolari in agricoltura – principale ambito nel quale si riscontrano fenomeni di caporalato, insieme all’edilizia – e potenziali vittime di caporalato siano tra 400mila e 430mila, in settore come quello agricolo nel quale l’irregolarità, l’informale e il sommerso muovono annualmente cifre comprese tra i 2 e i 5 miliardi di euro. Il rapporto evidenzia come il lavoro sotto caporale sia caratterizzato da un salario inferiore di circa il 50% rispetto a quanto previsto dai CCNL e CPL, da orari di lavoro che variano dalle 8 alle 12 ore al giorno e da un inesistente tutela in termini di diritti contrattuali e di sicurezza sul lavoro.
«I settori più colpiti sono l’agricoltura e l’edilizia – spiega ancora Forti -. Sono state riscontrate anche intermediazioni nell’ambito della collaborazione domestica, ma certamente con dinamiche meno pressanti e feroci. Quanto alla collocazione geografica, sebbene sia ormai un dato certo il fatto che il caporalato sia fenomeno trasversale in tutta Italia, è anche vero che al Sud sia molto più visibile: si pensi ai grandi ghetti e agli accampamenti in cui vivono i lavoratori agricoli. Gli aspetti distintivi tra Nord e Sud sono soprattutto nella manifestazione del fenomeno».
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