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Diritto di critica | December 22, 2024

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Polveriera Libia, a Vienna la nuova strategia. Niente truppe dall’Italia - Diritto di critica

Al summit deciso un impegno comune per scoraggiare il terrorismo. Il Segretario di Stato Usa conferma il sostegno al governo di unità nazionale

Riduzione dell’embargo sulle armi e appoggio incondizionato al governo nazionale di al-Sarraj. La Comunità internazionale prova nuovamente a far fronte comune sulla Libia, per contrastare l’azione dell’Isis e scoraggiare le divisioni interne di uno Stato in bilico, cruciale per gli equilibri del Mediterraneo, gli interessi economici legati al petrolio, e non solo. Dopo l’incontro, a Vienna, tra i delegati di numerosi Paesi interessati alle sorti libiche (erano presenti tra gli altri Germania, Francia, Gran Bretagna, Turchia, Egitto, Cina, Russia, e i delegati di Onu, Ue ecc.), i dettagli dell’accordo sono stati presentati nella conferenza stampa congiunta tra il Segretario di Stato americano John Kerry, il ministro degli Esteri italiano Gentiloni e il premier libico Fayez al-Sarray, nominato nel dicembre scorso con l’appoggio dell’Onu e insediatosi a Tripoli a fine marzo.

Le dichiarazioni La strategia confermata è proprio quella di mettere il governo legittimo della capitale nelle condizioni migliori per poter lavorare: «È imperativo sostenere la coalizione Sarraj – ha dichiarato Kerry – appoggeremo il Consiglio di presidenza e cercheremo di revocare l’embargo e fornire gli strumenti necessari per contrattaccare Daesh, lo Stato islamico». La Libia, quindi, potrà iniziare a difendersi da sola: «È importante risolvere la situazione il più velocemente possibile – ha aggiunto il Segretario – tutti conoscono il prezzo inaccettabile delle rivalità interne che stanno infliggendo al popolo libico, all’economia e alla sicurezza, e l’aumento dell’estremismo che ne sta traendo vantaggio». Il fine ultimo, come aveva anche sottolineato lo stesso Sarraj, è quello di unificare per quanto possibile le forze interne al Paese e iniziare a dialogare anche con il generale Haftar, nominato nel 2015 Capo di Stato Maggiore del governo cirenaico di Tobruk, nato per sconfiggere le forze islamiste e fondamentaliste di Tripoli: «Cercheremo un accordo politico – ha confermato il ministro Gentiloni – per combattere contro l’Isis, ma per farlo occorre un riconoscimento pieno del governo di unità nazionale».

Fayez-Serraj-e1461834645343La lotta armata e le richieste di al-Sarraj Sul fronte della guerra al terrorismo e ai gruppi estremisti che stanno dilagando nel Paese, non ci sarà nessuna invasione straniera, ma un appoggio concreto alle milizie locali: «Siamo pronti ad addestrare ed equipaggiare le forze militari libiche – ha continuato Gentiloni – al-Sarraj ha più volte ribadito di non volere un intervento di terra, ma un sostegno della comunità internazionale in termini di formazione e sicurezza». Il Primo ministro di Tripoli aveva parlato chiaro, nei giorni scorsi, in un’intervista all’inglese “Daily Telegraph”: «La sconfitta dello Stato Islamico è un obiettivo che sarà raggiunto dagli sforzi libici e senza intervento militare straniero». Il nodo da sciogliere, in questo senso, è la revoca parziale dell’embargo sulle armi alla Libia, che per esempio la Russia, membro permanente del Consiglio di sicurezza dell’Onu, ritiene prematura. Dagli Stati Uniti, invece, segnali positivi, a patto che «il governo libico risponda ai requisiti per la deroga e prepari una lista dettagliata di tutti gli strumenti che intende utilizzare per combattere l’Isis».

La posizione dell’Italia A suon di annunci, conferme e smentite, va in scena la solita indecisione italiana, che però sembra svanita, date le direttive dell’Onu: nessun invio di truppe di terra, quindi, massima cautela ed eventuali nuclei speciali per alcune missioni segrete. L’azione principale italiana, al momento, è quella di vigilanza e controllo marino, come quello effettuato da oltre un anno dai quattro sommergibili della Marina, al largo della Libia. I dettagli dell’operazione sono top secret, ma lo scopo è quello di intercettare le comunicazioni dei jihadisti e, quando necessario, bloccare le navi-madre cariche di migranti, prima che distribuiscano migliaia di disperati sulle carrette della morte dirette verso le nostre coste.