Referendum del 17 aprile, ecco su cosa si vota
La consultazione non ha nulla a che vedere con le trivelle. Riguarda solo gli impianti già esistenti. Cosa cambia se vince il Sì?
Per la prima volta nella storia dell’Italia repubblicana, i cittadini sono chiamati ad esprimersi su un referendum promosso dalle regioni. Il 17 aprile si voterà per decidere se lasciare in vigore le proroghe agli impianti esistenti di estrazione degli idrocarburi (petrolio e gas) fino all’esaurimento dei giacimenti stessi o se obbligare la chiusura degli impianti al termine della concessione. In parole povere, l’attuale legge prevede che le piattaforme petrolifere entro le 12 miglia nautiche dalle coste italiane possano continuare l’estrazione fino ad esaurimento del giacimento. Il quesito referendario, invece, impone il rispetto dei tempi previsti dalla concessione che potrebbero essere inferiori alle tempistiche di estrazione, lasciando – in alcuni casi – i giacimenti non completamente sfruttati.
No Triv? Macché! Come avete capito, la parola “trivelle” non ha nulla a che fare con il quesito proposto nel referendum. Infatti, il governo ha già vietato nuove trivellazioni entro le 12 miglia dalla costa. Il referendum riguarda solo gli impianti già esistenti o quelli in fase di realizzazione per via di precedenti concessioni.
Cosa succede se vince il Sì. Il quesito riguarda 21 concessioni delle 66 date dal governo italiano. Infatti, già da tempo gran parte delle autorizzazioni sono state date al di fuori delle 12 miglia. Delle 21, sette delle quali in Sicilia e cinque in Calabria, in caso di vittoria del sì, saranno disattivate nel giro di cinque anni tre piattaforme realizzate negli anni settanta, mentre le altre 48 verranno fermate entro circa 15 anni.
Alcuni dati. Circa l’80% di tutto il gas che viene estratto in Italia viene preso in mare (il 17,6% entro le 12 miglia). Quello “marino” rappresenta complessivamente il 10% del fabbisogno nazionale. Il gas, diversamente dal petrolio, rappresenta una fonte di energia a basso impatto ambientale. Per quanto riguarda il petrolio, circa il 25% di quello estratto in Italia arriva dal mare. Quello che giunge dalle piattaforme entro le 12 miglia rappresenta 9,1% di tutto il petrolio italiano.
Il quorum. Il referendum abrogativo, così come previsto dalla Costituzione, sarà valido solo se avrà votato il 50%+1 degli aventi diritto.
Un referendum politico. Il referendum del 17 aprile ha sempre avuto una valenza politica. Gli ambientalisti – favorevoli al sì – vedono in questo voto la possibilità di accelerare un processo già in atto verso risorse energetiche pulite e soprattutto rinnovabili. Chi, invece, è contrario al quesito, pensa che il referendum possa far aumentare il costo di petrolio e gas o quantomeno la dipendenza dall’estero. Tuttavia, il caso Guidi, che ha portato alle immediate dimissioni della ministra, ha trasformato il senso di questa consultazione in un voto contro il governo e le lobby del petrolio.
Per la prima volta nella storia dell’Italia repubblicana, i cittadini sono chiamati ad esprimersi su un referendum promosso dalle regioni. Il 17 aprile si voterà per decidere se lasciare in vigore le proroghe agli impianti esistenti di estrazione degli idrocarburi (petrolio e gas) fino all’esaurimento dei giacimenti stessi o se obbligare la chiusura degli impianti al termine della concessione. In parole povere, l’attuale legge prevede che le piattaforme petrolifere entro le 12 miglia nautiche dalle coste italiane possano continuare l’estrazione fino ad esaurimento del giacimento. Il quesito referendario, invece, impone il rispetto dei tempi previsti dalla concessione che potrebbero essere inferiori alle tempistiche di estrazione, lasciando – in alcuni casi – i giacimenti non completamente sfruttati.
No Triv? Macché! Come avete capito, la parola “trivelle” non ha nulla a che fare con il quesito proposto nel referendum. Infatti, il governo ha già vietato nuove trivellazioni entro le 12 miglia dalla costa. Il referendum riguarda solo gli impianti già esistenti o quelli in fase di realizzazione per via di precedenti concessioni.
Cosa succede se vince il Sì. Il quesito riguarda 21 concessioni delle 66 date dal governo italiano. Infatti, già da tempo gran parte delle autorizzazioni sono state date al di fuori delle 12 miglia. Delle 21, sette delle quali in Sicilia e cinque in Calabria, in caso di vittoria del sì, saranno disattivate nel giro di cinque anni tre piattaforme realizzate negli anni settanta, mentre le altre 48 verranno fermate entro circa 15 anni.
Alcuni dati. Circa l’80% di tutto il gas che viene estratto in Italia viene preso in mare (il 17,6% entro le 12 miglia). Quello “marino” rappresenta complessivamente il 10% del fabbisogno nazionale. Il gas, diversamente dal petrolio, rappresenta una fonte di energia a basso impatto ambientale. Per quanto riguarda il petrolio, circa il 25% di quello estratto in Italia arriva dal mare. Quello che giunge dalle piattaforme entro le 12 miglia rappresenta 9,1% di tutto il petrolio italiano.
Il quorum. Il referendum abrogativo, così come previsto dalla Costituzione, sarà valido solo se avrà votato il 50%+1 degli aventi diritto.
Un referendum politico. Il referendum del 17 aprile ha sempre avuto una valenza politica. Gli ambientalisti – favorevoli al sì – vedono in questo voto la possibilità di accelerare un processo già in atto verso risorse energetiche pulite e soprattutto rinnovabili. Chi, invece, è contrario al quesito, pensa che il referendum possa far aumentare il costo di petrolio e gas o quantomeno la dipendenza dall’estero. Tuttavia, il caso Guidi, che ha portato alle immediate dimissioni della ministra, ha trasformato il senso di questa consultazione in un voto contro il governo e le lobby del petrolio.