Ansia da terrorismo, la paura di chi resta e il ruolo dei media
Per ogni vittima di un attacco, altre 18 persone avranno problemi psicologici. Ma i timori coinvolgono anche a livello collettivo
Angoscia, flashback, incubi, pensieri negativi. Sono i sintomi e le sensazioni di chi ha vissuto direttamente o attraverso la perdita di una persona cara un attentato terroristico. Quando si raccontano eventi tragici come quelli accaduti a Parigi e a Bruxelles, si tende spesso a dimenticare che attorno ad ogni uomo o donna ferito o ucciso dalla follia estremista ce ne sono almeno altre 18, come affermano da anni gli psicologi, che sperimentano stress e disturbi di ansia. E che in media 5 di queste hanno bisogno di seguire una terapia adeguata. Ma quella che gli esperti chiamano “sindrome da stress post-traumatico” colpisce sempre di più anche chi non ha avuto esperienza diretta né un parente coinvolto.
La ricerca A fine 2015 la scuola medica di Harvard e l’Università di New York hanno condotto uno studio per capire le cause e gli effetti della paura da terrorismo a livello collettivo. L’indagine, pubblicata in questi giorni sul giornale online inglese “The conversation”, ha ricordato come, in questi anni, sintomi di ansia e depressione siano aumentati tra gli abitanti delle città colpite di volta in volta (New York nel 2001, Madrid nel 2004, Londra nel 2005). Già nel biennio 1995-1996, quando in Francia si susseguirono alcuni attacchi di estremisti islamici, si registrò tra la popolazione dell’area coinvolta un incremento del 31 per cento di disordini da stress post-traumatico. Nel 2001, dopo il terribile attacco alle torri gemelle di New York, il 40 per cento tra gli intervistati che abitavano vicino al World Trade Center sperimentò angoscia, insonnia e ansia. Anche se temporanei (almeno qualche mese), gli effetti della sindrome portano ad inevitabili «cambiamenti nella percezione e in abitudini come socializzare con gli altri, usare mezzi pubblici, frequentare posti affollati o prendere aerei». Sembrano considerazioni ovvie, ma rispetto, per esempio, agli effetti prolungati e circoscritti nelle aree interessate storicamente da eventi terroristici (come Irlanda del Nord, Israele e Palestina), le ansie e le paure di questo tipo sono più imprevedibili e si allargano a macchia d’olio.
Il ruolo dei mezzi di comunicazione A differenza di quanto ci si aspettasse, inoltre, «l’aumento delle sindromi ansioso-depressive appare anche tra chi non abita nelle città colpite da attacchi: dopo l’11 settembre il 17 per cento della popolazione americana al di fuori di New York soffriva di stress post-traumatico, e dopo sei mesi il dato era ancora al 6 per cento. La causa di questo fenomeno non è da ricercare solo in una naturale empatia e paura per sé stessi, ma anche nella copertura intensiva dei media che genera un vero e proprio bombardamento mediatico». Ore ed ore passate a leggere, ascoltare, guardare ogni dettaglio dell’evento terroristico possono influenzare il modo di vedere il mondo e generare ansia: «Questa esposizione mediatica rende vulnerabili e l’effetto è contagioso; è come se si vivesse e rivivesse di continuo la tragedia (ovviamente non nel modo di chi davvero era sul posto). Su duemila adulti, a New York si registrò un incremento della sindrome in coloro che erano stati per più ore davanti alla televisione».
Rabbia, paura e capacità di adattamento Gli studi di psicologi e psicoterapeuti stanno proliferando in tutto il mondo, e i punti in accordo sembrano essere gli stessi: un individuo può reagire ad eventi traumatici sviluppando rabbia (con un carattere più razionale e costruttivo) o paura (se ha un carattere più pessimista e teme di perdere il controllo). Ma, incredibilmente, questi sentimenti portano con il tempo allo sviluppo e al rinforzo della resilenza, ovvero della capacità di una persona di adattarsi e superare momenti angosciosi e scioccanti.
Angoscia, flashback, incubi, pensieri negativi. Sono i sintomi e le sensazioni di chi ha vissuto direttamente o attraverso la perdita di una persona cara un attentato terroristico. Quando si raccontano eventi tragici come quelli accaduti a Parigi e a Bruxelles, si tende spesso a dimenticare che attorno ad ogni uomo o donna ferito o ucciso dalla follia estremista ce ne sono almeno altre 18, come affermano da anni gli psicologi, che sperimentano stress e disturbi di ansia. E che in media 5 di queste hanno bisogno di seguire una terapia adeguata. Ma quella che gli esperti chiamano “sindrome da stress post-traumatico” colpisce sempre di più anche chi non ha avuto esperienza diretta né un parente coinvolto.
La ricerca A fine 2015 la scuola medica di Harvard e l’Università di New York hanno condotto uno studio per capire le cause e gli effetti della paura da terrorismo a livello collettivo. L’indagine, pubblicata in questi giorni sul giornale online inglese “The conversation”, ha ricordato come, in questi anni, sintomi di ansia e depressione siano aumentati tra gli abitanti delle città colpite di volta in volta (New York nel 2001, Madrid nel 2004, Londra nel 2005). Già nel biennio 1995-1996, quando in Francia si susseguirono alcuni attacchi di estremisti islamici, si registrò tra la popolazione dell’area coinvolta un incremento del 31 per cento di disordini da stress post-traumatico. Nel 2001, dopo il terribile attacco alle torri gemelle di New York, il 40 per cento tra gli intervistati che abitavano vicino al World Trade Center sperimentò angoscia, insonnia e ansia. Anche se temporanei (almeno qualche mese), gli effetti della sindrome portano ad inevitabili «cambiamenti nella percezione e in abitudini come socializzare con gli altri, usare mezzi pubblici, frequentare posti affollati o prendere aerei». Sembrano considerazioni ovvie, ma rispetto, per esempio, agli effetti prolungati e circoscritti nelle aree interessate storicamente da eventi terroristici (come Irlanda del Nord, Israele e Palestina), le ansie e le paure di questo tipo sono più imprevedibili e si allargano a macchia d’olio.
Il ruolo dei mezzi di comunicazione A differenza di quanto ci si aspettasse, inoltre, «l’aumento delle sindromi ansioso-depressive appare anche tra chi non abita nelle città colpite da attacchi: dopo l’11 settembre il 17 per cento della popolazione americana al di fuori di New York soffriva di stress post-traumatico, e dopo sei mesi il dato era ancora al 6 per cento. La causa di questo fenomeno non è da ricercare solo in una naturale empatia e paura per sé stessi, ma anche nella copertura intensiva dei media che genera un vero e proprio bombardamento mediatico». Ore ed ore passate a leggere, ascoltare, guardare ogni dettaglio dell’evento terroristico possono influenzare il modo di vedere il mondo e generare ansia: «Questa esposizione mediatica rende vulnerabili e l’effetto è contagioso; è come se si vivesse e rivivesse di continuo la tragedia (ovviamente non nel modo di chi davvero era sul posto). Su duemila adulti, a New York si registrò un incremento della sindrome in coloro che erano stati per più ore davanti alla televisione».
Rabbia, paura e capacità di adattamento Gli studi di psicologi e psicoterapeuti stanno proliferando in tutto il mondo, e i punti in accordo sembrano essere gli stessi: un individuo può reagire ad eventi traumatici sviluppando rabbia (con un carattere più razionale e costruttivo) o paura (se ha un carattere più pessimista e teme di perdere il controllo). Ma, incredibilmente, questi sentimenti portano con il tempo allo sviluppo e al rinforzo della resilenza, ovvero della capacità di una persona di adattarsi e superare momenti angosciosi e scioccanti.