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Diritto di critica | November 24, 2024

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"La macchinazione": Pasolini e i misteri d'Italia

“La macchinazione”: Pasolini e l’ipocrisia all’italiana

«Siamo italiani, siamo tutti figli di Don Abbondio: vigliacchi, anzi peggio, opportunisti». Basta questa frase, pronunciata in una scena centrale del film, per rendersi conto di quanto “La macchinazione” sia attuale. È un ottimo e credibilissimo Massimo Ranieri a prestare volto, corpo e gestualità a Pier Paolo Pasolini, nel secondo lungometraggio del regista napoletano David Grieco, amico e collaboratore per anni del grande artista. Grieco racconta la sua verità su una tragica fine (il 2 novembre del 1975), appoggiando la tesi del complotto malavitoso, di un Pasolini che ha pagato il prezzo più alto, nel tentativo di svelare la ragnatela che sin dagli anni Sessanta aveva cominciato a tessersi tra politica, industria e criminalità: «Pier Paolo è stato ammazzato da quelli che hanno fatto tutto quello che è stato fatto dal ’69 in poi in questo Paese – ha dichiarato il regista – le stragi, gli omicidi politici, le bombe sui treni, la strategia della tensione. L’organizzazione era molto vasta e quindi non parlo materialmente delle stesse persone. Ogni mezzo era lecito affinché il comunismo non prendesse piede in Europa occidentale».

pasolini-death-conspiracy-massimo-ranieri-movieIl testamento artistico di “Petrolio” La pellicola mostra con crudo e semplice realismo gli ultimi tre mesi dello scrittore friulano, disilluso dalla società borghese e consumistica e impaziente di smascherare, attraverso lo studio e le informazioni raccolte da un altro autore (che in realtà non è mai stato identificato) e poi censurate, il mondo sotterraneo e gli intrighi di potere intorno alla crescente industria petrolifera italiana, quella lotta tra Eni e Montedison ancora oggi piena di misteri e dubbi mai risolti. Un Pasolini “stanco di ripetere sempre le stesse cose, di essere ritenuto pazzo”, alla ricerca febbrile della verità e conscio del rischio che stava correndo. Ranieri, circondato da un cast ben affiatato, gesticola, riflette, osserva, si “pasolinizza” in tutto (eccetto forse l’accento napoletano che ogni tanto riaffiora), accennando con delicatezza anche alla dimensione privata dell’artista, quella parte più sensibile e fragile ben visibile nei momenti con la madre e durante gli incontri con il giovane amante Pelosi (che sarà poi incastrato ed erroneamente ritenuto l’unico responsabile della sua morte).

Senza filtri Accompagnato dagli accordi sonori dei Pink Floyd, “La macchinazione” accentua e ricerca un realismo attraverso dissolvenze tra bianco e nero e colore, una rappresentazione vivida della periferia romana e della sua perdizione, e spietate riprese in soggettiva durante l’agguato e il pestaggio a Pasolini: una violenza rude e quasi inconsapevole di un gruppo di borgatari criminali in balìa di un potere assai più grande di loro. “La macchinazione” prima ancora che un film ben fatto (a volte appare però un po’ troppo rudimentale, e si lascia andare a momenti “vuoti” o a poco convincenti flashforward nel futuro tecnologico e omologato della società), è un film che ci spinge a saperne di più, perfettamente calato negli anni Settanta e nelle contraddizioni che stavano emergendo nel nostro Paese, molte delle quali sono ancora terribilmente presenti nel mondo contemporaneo.