Salvate Schengen - Diritto di critica
Il trattato di libera circolazione rischia di essere cancellato. I paesi dell'Est non vogliono i migranti
Schengen è salva. Anzi no. In queste ore ad Amsterdam si stanno discutendo le sorti di un trattato internazionale che non è solo un pezzo di carta, ma rappresenta un ideale, l’ideale di Europa unita al di là della moneta unica. Salvare Schengen è un imperativo categorico per chi crede nel sogno di un’area comune tra popoli diversi. Salvare Schengen significa anche dimostrare che l’Unione europea non è solo un’aggregazione di stati.
Inseguendo i populisti. Sono bastati 200mila migranti per mettere in crisi un’Unione di 500 milioni di cittadini. Perché i profughi sono un problema, inutile negarlo. E le destre xenofobe, cresciute negli ultimi anni anche grazie alla crisi economica, soffiano sul fuoco del populismo. Così gestire i profughi significa in un primo tempo doverli assistere (trovare loro un alloggio e sfamarli) e poi collocarli nella società con un lavoro. Facile a dirsi, difficilissimo a farsi, di fronte ad un’opinione pubblica che teme l’invasione e teme soprattutto nuova concorrenza nel mercato del lavoro. I fatti di Colonia a Capodanno e gli attentati terroristici di Parigi hanno certamente contribuito a peggiorare la situazione, aumentando l’insicurezza percepita prodotta dall’immigrazione.
Ognuno per sé. Così, se i singoli governi devono badare al proprio tornaconto elettorale, la mediazione è difficile. I paesi del nord hanno già notevolmente contribuito e ora chiedono che i paesi del sud facciano di più per fermare la corsa dei migranti verso l’Europa più ricca. Quelli del sud (Italia e Grecia, in prima fila), chiedono più aiuti economici e una redistribuzione equa.
La memoria corta. In questo scenario sono i paesi dell’est (non interessati dal fenomeno, ad eccezione dell’Ungheria) a lavarsene le mani: no ad aiuti (se non poco più che simbolici) ad Italia e Grecia e no alla redistribuzione dei migranti secondo determinate quote. A guidare le fila dei “ribelli” anti-Schengen dell’est è la Polonia, la stessa Polonia dalla quale fuggivano 25 anni fa centinaia di migliaia di cittadini e che venivano accolti nell’Europa occidentale: in Germania e anche in Italia.
Italia-Germania, una proposta per salvare la Ue. Forse Schengen verrà sospeso per due anni. Intanto è sicuro che verrà bloccato per sei mesi. In questo lasso di tempo spetta all’Italia e alla Germania trovare una soluzione attraverso una mediazione. Ma il principio di base deve essere chiaro: le frontiere esterne sono di tutti i cittadini europei e tutti devono contribuire a difenderle. L’Italia e la Germania stanno lavorando ad una proposta congiunta che preveda la creazione di nuovi hotspot sul territorio italiano e ad una regolamentazione dell’accoglienza dei profughi. Via gli accordi di Dublino che obbligano il primo paese della Ue raggiunto da un migrante ad identificarlo, a trattenerlo o a respingerlo. Infatti, questa convenzione ha messo in seria difficoltà paesi come Italia e Grecia che si sono di fatto ritrovati da soli ad affrontare gli sbarchi. Per alleggerire la pressione alle proprie frontiere, Roma e Atene hanno deciso di lasciar passare i migranti verso nord, violando il trattato internazionale. Ora il progetto di Renzi e della Merkel punta a ritrovare lo spirito solidaristico della Ue. Il progetto prevede l’istituzione di hotspot (simili agli attuali centri di accoglienza ed identificazione) nei paesi periferici dove identificare i migranti e suddividerli tra richiedenti asili e migranti economici. I secondi vengono rimpatriati, i primi vengono smistati tra i vari paesi europei in base a quote obbligatorie che tengano conto del Pil, del tasso di disoccupazione e della popolazione di ogni singolo paese. I richiedenti asilo non potranno più scegliere il paese di destinazione, a meno che non vi sia la richiesta di un ricongiungimento familiare. La proposta sarà presentata al summit di Bruxelles del 18 febbraio per capire quante chance avrà di essere accolta dagli altri partner europei. Lo scontro si profila piuttosto duro tra Germania, Italia, Belgio e Svezia da una parte e Polonia, Ungheria e paesi baltici dall’altra.
Il caso Grecia. Ancora una volta è Atene a rappresentare il problema più grande. Superata la questione economica, Tsipras è di nuovo al centro delle polemiche europee. Vienna e Berlino hanno fatto capire chiaramente che se la Grecia non si adeguerà nel controllo delle frontiere marittime dalla Turchia, Atene dirà addio a Schengen. In cambio Atene dovrebbe ricevere maggiori aiuti economici per far fronte ad una vera e propria crisi umanitaria.
Schengen è salva. Anzi no. In queste ore ad Amsterdam si stanno discutendo le sorti di un trattato internazionale che non è solo un pezzo di carta, ma rappresenta un ideale, l’ideale di Europa unita al di là della moneta unica. Salvare Schengen è un imperativo categorico per chi crede nel sogno di un’area comune tra popoli diversi. Salvare Schengen significa anche dimostrare che l’Unione europea non è solo un’aggregazione di stati.
Inseguendo i populisti. Sono bastati 200mila migranti per mettere in crisi un’Unione di 500 milioni di cittadini. Perché i profughi sono un problema, inutile negarlo. E le destre xenofobe, cresciute negli ultimi anni anche grazie alla crisi economica, soffiano sul fuoco del populismo. Così gestire i profughi significa in un primo tempo doverli assistere (trovare loro un alloggio e sfamarli) e poi collocarli nella società con un lavoro. Facile a dirsi, difficilissimo a farsi, di fronte ad un’opinione pubblica che teme l’invasione e teme soprattutto nuova concorrenza nel mercato del lavoro. I fatti di Colonia a Capodanno e gli attentati terroristici di Parigi hanno certamente contribuito a peggiorare la situazione, aumentando l’insicurezza percepita prodotta dall’immigrazione.
Ognuno per sé. Così, se i singoli governi devono badare al proprio tornaconto elettorale, la mediazione è difficile. I paesi del nord hanno già notevolmente contribuito e ora chiedono che i paesi del sud facciano di più per fermare la corsa dei migranti verso l’Europa più ricca. Quelli del sud (Italia e Grecia, in prima fila), chiedono più aiuti economici e una redistribuzione equa.
La memoria corta. In questo scenario sono i paesi dell’est (non interessati dal fenomeno, ad eccezione dell’Ungheria) a lavarsene le mani: no ad aiuti (se non poco più che simbolici) ad Italia e Grecia e no alla redistribuzione dei migranti secondo determinate quote. A guidare le fila dei “ribelli” anti-Schengen dell’est è la Polonia, la stessa Polonia dalla quale fuggivano 25 anni fa centinaia di migliaia di cittadini e che venivano accolti nell’Europa occidentale: in Germania e anche in Italia.
Italia-Germania, una proposta per salvare la Ue. Forse Schengen verrà sospeso per due anni. Intanto è sicuro che verrà bloccato per sei mesi. In questo lasso di tempo spetta all’Italia e alla Germania trovare una soluzione attraverso una mediazione. Ma il principio di base deve essere chiaro: le frontiere esterne sono di tutti i cittadini europei e tutti devono contribuire a difenderle. L’Italia e la Germania stanno lavorando ad una proposta congiunta che preveda la creazione di nuovi hotspot sul territorio italiano e ad una regolamentazione dell’accoglienza dei profughi. Via gli accordi di Dublino che obbligano il primo paese della Ue raggiunto da un migrante ad identificarlo, a trattenerlo o a respingerlo. Infatti, questa convenzione ha messo in seria difficoltà paesi come Italia e Grecia che si sono di fatto ritrovati da soli ad affrontare gli sbarchi. Per alleggerire la pressione alle proprie frontiere, Roma e Atene hanno deciso di lasciar passare i migranti verso nord, violando il trattato internazionale. Ora il progetto di Renzi e della Merkel punta a ritrovare lo spirito solidaristico della Ue. Il progetto prevede l’istituzione di hotspot (simili agli attuali centri di accoglienza ed identificazione) nei paesi periferici dove identificare i migranti e suddividerli tra richiedenti asili e migranti economici. I secondi vengono rimpatriati, i primi vengono smistati tra i vari paesi europei in base a quote obbligatorie che tengano conto del Pil, del tasso di disoccupazione e della popolazione di ogni singolo paese. I richiedenti asilo non potranno più scegliere il paese di destinazione, a meno che non vi sia la richiesta di un ricongiungimento familiare. La proposta sarà presentata al summit di Bruxelles del 18 febbraio per capire quante chance avrà di essere accolta dagli altri partner europei. Lo scontro si profila piuttosto duro tra Germania, Italia, Belgio e Svezia da una parte e Polonia, Ungheria e paesi baltici dall’altra.
Il caso Grecia. Ancora una volta è Atene a rappresentare il problema più grande. Superata la questione economica, Tsipras è di nuovo al centro delle polemiche europee. Vienna e Berlino hanno fatto capire chiaramente che se la Grecia non si adeguerà nel controllo delle frontiere marittime dalla Turchia, Atene dirà addio a Schengen. In cambio Atene dovrebbe ricevere maggiori aiuti economici per far fronte ad una vera e propria crisi umanitaria.