Iran vs Arabia Saudita, il petrolio dietro lo scontro religioso
Paladine rispettivamente di sciiti e sunniti, Teheran e Riad rischiano di incendiare il mondo arabo in nome di Maometto. Ma in realtà dietro ci sono interessi petroliferi importanti
Non è solo una questione religiosa. Lo scontro, per ora solo diplomatico, tra Arabia Saudita e Iran rischia di incendiare ulteriormente una situazione già esplosiva nel mondo arabo. Ma cosa sta succedendo in Medio Oriente e quali sono le motivazioni dietro uno scontro che appare religioso?
Riad e Teheran, paladine di due mondi. Il mondo islamico è storicamente diviso in sciiti e sunniti. Questo scisma si realizzò alla morte di Maometto quando si pose il problema della successione. Nel 632 dopo Cristo la maggioranza dei musulmani scelse come guida Abu Bakr, padre della moglie di Maometto Aisha. I seguaci prenderanno il nome di sunniti. Gli altri scelsero di seguire il cugino del Profeta, Ali. Al di là degli aspetti “politici” della separazione, ci sono differenze religiose abbastanza evidenti. Gli sciiti riconoscono un clero organizzato, mentre i sunniti fanno riferimento ad imam autonomi. Mentre nel mondo sunnita esiste una divisione tra potere politico e quello religioso, il clero tra gli sciiti ha anche una funzione politica.
Tutto iniziò in Iraq. Nel mondo islamico gli unici paesi governati da regimi sciiti sono l’Iran, la Siria e l’Iraq. Non è un caso che proprio due dei tre oggi sono in guerra contro lo Stato islamico che raggruppa guerriglieri sunniti. E proprio l’Isis controlla l’est della Siria e il nord-ovest dell’Iraq, cioè quelle terre storicamente abitate da minoranze sunnite. A rompere l’equilibrio secolare (al di là di scontri geograficamente limitati e “per procura”) è stata l’ultima guerra del Golfo. La scelta degli Stati Uniti di abbattere il regime di Saddam Hussein (sunnita) ha permesso alla maggioranza sciita dell’Iraq di prendere il potere a Baghdad, mettendo in minoranza i sunniti e avvicinando l’Iraq all’Iran. A questo si è aggiunta l’apertura di Obama al regime di Teheran e la fine delle sanzioni, creando uno svantaggio geopolitico ed economico per le potenze sunnite, in particolar modo per l’Arabia Saudita.
Il messaggio di Riad. L’esecuzione dello sceicco sciita Nimr Al Nimr da parte del governo di Ryad rischia, quindi, di essere l’ultima goccia in grado di far traboccare il vaso di una guerra finora “fredda”, combattuta a distanza. Il messaggio dei sauditi è chiaro: «Non tolleriamo interferenze religiose e politiche nella nostra area di influenza»: la penisola araba (in preda a conflitti piuttosto violenti in Yemen) e nell’area del Golfo.
Tutta colpa del petrolio. Ma lo scontro, al di là delle divisioni religiose e degli interessi geopolitici, è fomentato da interessi economici essenziali. L’embargo all’Iran, lungo 35 anni, è terminato e Teheran sta riavviando la propria produzione petrolifera verso l’estero. Questo significa che Riad si ritroverà presto un ingombrante nemico/concorrente sui mercati internazionali, con un ulteriore crollo del prezzo del petrolio che, se da una parte favorirà l’abbattimento dei costi di produzione industriale, può generare una pericolosa deflazione che potrebbe investire l’Europa che sta a fatica uscendo da una delle più devastanti crisi economiche della sua storia moderna.
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Non è solo una questione religiosa. Lo scontro, per ora solo diplomatico, tra Arabia Saudita e Iran rischia di incendiare ulteriormente una situazione già esplosiva nel mondo arabo. Ma cosa sta succedendo in Medio Oriente e quali sono le motivazioni dietro uno scontro che appare religioso?
Riad e Teheran, paladine di due mondi. Il mondo islamico è storicamente diviso in sciiti e sunniti. Questo scisma si realizzò alla morte di Maometto quando si pose il problema della successione. Nel 632 dopo Cristo la maggioranza dei musulmani scelse come guida Abu Bakr, padre della moglie di Maometto Aisha. I seguaci prenderanno il nome di sunniti. Gli altri scelsero di seguire il cugino del Profeta, Ali. Al di là degli aspetti “politici” della separazione, ci sono differenze religiose abbastanza evidenti. Gli sciiti riconoscono un clero organizzato, mentre i sunniti fanno riferimento ad imam autonomi. Mentre nel mondo sunnita esiste una divisione tra potere politico e quello religioso, il clero tra gli sciiti ha anche una funzione politica.
Tutto iniziò in Iraq. Nel mondo islamico gli unici paesi governati da regimi sciiti sono l’Iran, la Siria e l’Iraq. Non è un caso che proprio due dei tre oggi sono in guerra contro lo Stato islamico che raggruppa guerriglieri sunniti. E proprio l’Isis controlla l’est della Siria e il nord-ovest dell’Iraq, cioè quelle terre storicamente abitate da minoranze sunnite. A rompere l’equilibrio secolare (al di là di scontri geograficamente limitati e “per procura”) è stata l’ultima guerra del Golfo. La scelta degli Stati Uniti di abbattere il regime di Saddam Hussein (sunnita) ha permesso alla maggioranza sciita dell’Iraq di prendere il potere a Baghdad, mettendo in minoranza i sunniti e avvicinando l’Iraq all’Iran. A questo si è aggiunta l’apertura di Obama al regime di Teheran e la fine delle sanzioni, creando uno svantaggio geopolitico ed economico per le potenze sunnite, in particolar modo per l’Arabia Saudita.
Il messaggio di Riad. L’esecuzione dello sceicco sciita Nimr Al Nimr da parte del governo di Ryad rischia, quindi, di essere l’ultima goccia in grado di far traboccare il vaso di una guerra finora “fredda”, combattuta a distanza. Il messaggio dei sauditi è chiaro: «Non tolleriamo interferenze religiose e politiche nella nostra area di influenza»: la penisola araba (in preda a conflitti piuttosto violenti in Yemen) e nell’area del Golfo.
Tutta colpa del petrolio. Ma lo scontro, al di là delle divisioni religiose e degli interessi geopolitici, è fomentato da interessi economici essenziali. L’embargo all’Iran, lungo 35 anni, è terminato e Teheran sta riavviando la propria produzione petrolifera verso l’estero. Questo significa che Riad si ritroverà presto un ingombrante nemico/concorrente sui mercati internazionali, con un ulteriore crollo del prezzo del petrolio che, se da una parte favorirà l’abbattimento dei costi di produzione industriale, può generare una pericolosa deflazione che potrebbe investire l’Europa che sta a fatica uscendo da una delle più devastanti crisi economiche della sua storia moderna.