Dopo Parigi, perché i musulmani non scendono in piazza?
Gli islamici, oggi, devono dimostrare che convivenza e integrazione sono possibili. Non basta dissociarsi dai terroristi e qualche sit-in
«Ma quali islamici? Dietro ai fatti di Parigi ci sono gli americani. Ora hanno una scusa per bombardare la nostra gente». A telecamere spente la solidarietà verso i francesi sparisce. Piccoli gruppi di musulmani che si ritrovano tra le strade di Roma non vogliono parlare di quello che è successo venerdì scorso in Francia. E chi parla viene assalito da sentimenti di vittimismo e complottismo. Come se l’Isis non fosse un problema per la comunità islamica globale. Come se tutto ciò che sta avvenendo abbia il solo scopo di sottomettere i paesi musulmani.
Troppo poco. L’Unione delle comunità islamiche in Italia (Ucoii) ha fermamente condannato i fatti di Parigi, ma manca, per ora, la volontà di andare oltre alle parole: scendere in piazza e dimostrare il proprio sdegno. Non basta più dissociarsi dai terroristi e non bastano più sporadici sit-in di 20-30 persone. Gli islamici, oggi, sono chiamati a scegliere non solo per dimostrare che convivenza e integrazione sono possibili, ma anche per fugare il rischio di fomentare atteggiamenti xenofobi. Ci si aspetterebbe proprio da loro la reazione più dura, non solo di fronte alla strage di venerdì, ma anche di fronte alle dichiarazioni del giovane italo-tunisino arrestato ieri sera a Roma, o di fronte ai fischi allo stadio in Turchia durante il minuto di silenzio per commemorare i morti di Parigi. Sì, perché ieri sera non solo i tifosi turchi hanno fischiato ma hanno anche gridato «Allah Akbar» (Dio è grande), come ad approvare la strage. A tutto questo, si sono aggiunte alcune vignette sui giornali arabi che ironizzavano sulla commozione che la strage ha prodotto in Francia e in occidente, ricordando il numero ben più elevato di morti in Siria e nel recente attentato a Beirut. Peccato che a Beirut e in Siria si continua a morire mentre nessuno, lì, decida di andare in piazza contro lo Stato islamico, contro i portatori di morte e terrore. E dovremmo essere noi a piangere i loro morti?
L’Isis, un problema per i musulmani. Eppure, sono proprio i musulmani le prime vittime dell’Isis. Si stima che gli uomini del califfo abbiano ucciso tra i 23 e i 40 mila musulmani, uomini, donne e bambini trucidati in attentati o attacchi militari, mentre i morti occidentali sono appena poco più di 400. Questi numeri dimostrano che il problema del califfo è un problema prima di tutto dei governi arabi, alcuni dei quali finanziano direttamente o indirettamente lo stesso Stato islamico. Se gli stessi musulmani non comprendono che è in corso uno scontro tutto interno all’Islam con risvolti geopolitici importanti, abbiamo perso tutti.
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Attacco a Parigi
«Ma quali islamici? Dietro ai fatti di Parigi ci sono gli americani. Ora hanno una scusa per bombardare la nostra gente». A telecamere spente la solidarietà verso i francesi sparisce. Piccoli gruppi di musulmani che si ritrovano tra le strade di Roma non vogliono parlare di quello che è successo venerdì scorso in Francia. E chi parla viene assalito da sentimenti di vittimismo e complottismo. Come se l’Isis non fosse un problema per la comunità islamica globale. Come se tutto ciò che sta avvenendo abbia il solo scopo di sottomettere i paesi musulmani.
Troppo poco. L’Unione delle comunità islamiche in Italia (Ucoii) ha fermamente condannato i fatti di Parigi, ma manca, per ora, la volontà di andare oltre alle parole: scendere in piazza e dimostrare il proprio sdegno. Non basta più dissociarsi dai terroristi e non bastano più sporadici sit-in di 20-30 persone. Gli islamici, oggi, sono chiamati a scegliere non solo per dimostrare che convivenza e integrazione sono possibili, ma anche per fugare il rischio di fomentare atteggiamenti xenofobi. Ci si aspetterebbe proprio da loro la reazione più dura, non solo di fronte alla strage di venerdì, ma anche di fronte alle dichiarazioni del giovane italo-tunisino arrestato ieri sera a Roma, o di fronte ai fischi allo stadio in Turchia durante il minuto di silenzio per commemorare i morti di Parigi. Sì, perché ieri sera non solo i tifosi turchi hanno fischiato ma hanno anche gridato «Allah Akbar» (Dio è grande), come ad approvare la strage. A tutto questo, si sono aggiunte alcune vignette sui giornali arabi che ironizzavano sulla commozione che la strage ha prodotto in Francia e in occidente, ricordando il numero ben più elevato di morti in Siria e nel recente attentato a Beirut. Peccato che a Beirut e in Siria si continua a morire mentre nessuno, lì, decida di andare in piazza contro lo Stato islamico, contro i portatori di morte e terrore. E dovremmo essere noi a piangere i loro morti?
L’Isis, un problema per i musulmani. Eppure, sono proprio i musulmani le prime vittime dell’Isis. Si stima che gli uomini del califfo abbiano ucciso tra i 23 e i 40 mila musulmani, uomini, donne e bambini trucidati in attentati o attacchi militari, mentre i morti occidentali sono appena poco più di 400. Questi numeri dimostrano che il problema del califfo è un problema prima di tutto dei governi arabi, alcuni dei quali finanziano direttamente o indirettamente lo stesso Stato islamico. Se gli stessi musulmani non comprendono che è in corso uno scontro tutto interno all’Islam con risvolti geopolitici importanti, abbiamo perso tutti.