Roma, i rischi del dopo-Marino
Quel poco che è stato fatto dal sindaco di Roma potrebbe essere presto vanificato. Molto dipenderà dalla scelta che faranno i romani
Marino ci spera ancora. Spera ancora che il Pd ci ripensi e lo mantenga su quella poltrona. Ma oramai la sua strada è segnata, nonostante le aperture di Sel. I democratici sembrano piuttosto convinti della scelta: si va al voto.
Il Pd rischia di perdere Roma. Allo stato attuale, però, il Pd ha poche chance di vittoria. Stando agli ultimi sondaggi può solo sperare di arrivare al ballottaggio e vincere grazie all’astensionismo. È vero che al momento non c’è un candidato e che una figura carismatica o comunque “pulita” può ridare speranza ai democratici romani. Ma è altrettanto vero che nomi all’orizzonte non se ne vedono e il rischio di perdere la Capitale è piuttosto elevato.
I rischi del dopo-Marino. Marino, però, non può essere un capro espiatorio di una gestione fallimentare che parte da lontano e che investe il Pd romano in maniera totale. Marino ha sbagliato tutto sul piano comunicativo e non ha saputo conquistarsi né i romani, né il Pd che lo ha sempre considerato un “marziano”, sin dalle prima nomine. Ma è anche il sindaco che ha eliminato gli scandalosi camion bar dalle zone turistiche e ha tentato di mettere un freno a caldarrostai e banchetti da terzo mondo. Per non parlare poi del badge per i conducenti della metropolitana. Da domani cosa succederà? Le lobby romane torneranno alla carica?
La Meloni, un Alemanno 2.0. Il rischio c’è e varia a seconda di chi vincerà le prossime elezioni. Giorgia Meloni è in lizza per la poltrona di sindaco. Piace alle periferie, grazie alla sua irruenza e a quell’accento romano che la rende “una di noi”. Ma Giorgia dalla Garbatella è legata mani e piedi all’amministrazione precedente, quella guidata da Gianni Alemanno, e all’ultimo governo Berlusconi. Dietro di lei, gli stessi personaggi che hanno contribuito allo sfascio della città. Con lei sindaco di Roma, si rischia di rivedere un “Alemanno 2, la vendetta”, un b-movie disastroso con il grande ritorno della famiglia Tredicine, padrona delle bancarelle romane.
Di Battista: forte con i forti, debole con i “deboli”. Due personaggi, invece, ancora non si sono realmente sporcati con la politica romana. Il primo è Alessandro Di Battista del MoVimento 5 Stelle, il quale verrà quasi certamente incoronato candidato dei grillini attraverso le primarie online. L’altro è Alfio Marchini, imprenditore e politico romano, oggi indipendente. Con Di Battista sindaco la grande rivoluzione di cui Roma ha bisogno potrebbe essere solo a metà. Sicuramente l’ascesa del giovane Dibba potrebbe rappresentare per alcune lobby romane un duro colpo. Ma non per altre. Cambieranno molti dirigenti anche nelle municipalizzate come Atac e Ama. Ma come si comporterà Di Battista di fronte alle resistenze al cambiamento da parte di sindacati e lobby “povere” come i tassisti romani? Il rischio è chiaro: se il marcio è in politica, come si può chiedere al conducente di una metro di timbrare un cartellino?
Marchini, sindaco ma solo con il Pd. Meno probabile, invece, la vittoria di Alfio Marchini. L’outsider legato storicamente alla sinistra, oggi si presenta come indipendente, una linea che però non ha pagato in termini elettorali. Figlio di una famiglia di costruttori comunisti, Marchini alle ultime elezioni comunali ha raccimolato solo il 9% dei consensi. Oggi potrebbe avere qualche chance solo se alleato con il Pd. Ma dopo due anni di dura opposizione a Marino e ai democratici romani, è difficile dire se questa possa essere una opzione praticabile.
I democratici orfani di Zingaretti. E il Pd? Per ora l’unico nome che risuona per i corridoi di Palazzo Giulio Cesare è quello dell’attuale prefetto Franco Gabrielli. Renzi lo vuole, lui al momento non sembra aver sciolto la riserva. Senza Nicola Zingaretti (oggi presidente della regione Lazio), per i democratici non rimangono molte altre scelte. Non si tratta di un grande comunicatore, ma è certamente un “uomo del fare”.
Argomenti
Roma
Marino ci spera ancora. Spera ancora che il Pd ci ripensi e lo mantenga su quella poltrona. Ma oramai la sua strada è segnata, nonostante le aperture di Sel. I democratici sembrano piuttosto convinti della scelta: si va al voto.
Il Pd rischia di perdere Roma. Allo stato attuale, però, il Pd ha poche chance di vittoria. Stando agli ultimi sondaggi può solo sperare di arrivare al ballottaggio e vincere grazie all’astensionismo. È vero che al momento non c’è un candidato e che una figura carismatica o comunque “pulita” può ridare speranza ai democratici romani. Ma è altrettanto vero che nomi all’orizzonte non se ne vedono e il rischio di perdere la Capitale è piuttosto elevato.
I rischi del dopo-Marino. Marino, però, non può essere un capro espiatorio di una gestione fallimentare che parte da lontano e che investe il Pd romano in maniera totale. Marino ha sbagliato tutto sul piano comunicativo e non ha saputo conquistarsi né i romani, né il Pd che lo ha sempre considerato un “marziano”, sin dalle prima nomine. Ma è anche il sindaco che ha eliminato gli scandalosi camion bar dalle zone turistiche e ha tentato di mettere un freno a caldarrostai e banchetti da terzo mondo. Per non parlare poi del badge per i conducenti della metropolitana. Da domani cosa succederà? Le lobby romane torneranno alla carica?
La Meloni, un Alemanno 2.0. Il rischio c’è e varia a seconda di chi vincerà le prossime elezioni. Giorgia Meloni è in lizza per la poltrona di sindaco. Piace alle periferie, grazie alla sua irruenza e a quell’accento romano che la rende “una di noi”. Ma Giorgia dalla Garbatella è legata mani e piedi all’amministrazione precedente, quella guidata da Gianni Alemanno, e all’ultimo governo Berlusconi. Dietro di lei, gli stessi personaggi che hanno contribuito allo sfascio della città. Con lei sindaco di Roma, si rischia di rivedere un “Alemanno 2, la vendetta”, un b-movie disastroso con il grande ritorno della famiglia Tredicine, padrona delle bancarelle romane.
Di Battista: forte con i forti, debole con i “deboli”. Due personaggi, invece, ancora non si sono realmente sporcati con la politica romana. Il primo è Alessandro Di Battista del MoVimento 5 Stelle, il quale verrà quasi certamente incoronato candidato dei grillini attraverso le primarie online. L’altro è Alfio Marchini, imprenditore e politico romano, oggi indipendente. Con Di Battista sindaco la grande rivoluzione di cui Roma ha bisogno potrebbe essere solo a metà. Sicuramente l’ascesa del giovane Dibba potrebbe rappresentare per alcune lobby romane un duro colpo. Ma non per altre. Cambieranno molti dirigenti anche nelle municipalizzate come Atac e Ama. Ma come si comporterà Di Battista di fronte alle resistenze al cambiamento da parte di sindacati e lobby “povere” come i tassisti romani? Il rischio è chiaro: se il marcio è in politica, come si può chiedere al conducente di una metro di timbrare un cartellino?
Marchini, sindaco ma solo con il Pd. Meno probabile, invece, la vittoria di Alfio Marchini. L’outsider legato storicamente alla sinistra, oggi si presenta come indipendente, una linea che però non ha pagato in termini elettorali. Figlio di una famiglia di costruttori comunisti, Marchini alle ultime elezioni comunali ha raccimolato solo il 9% dei consensi. Oggi potrebbe avere qualche chance solo se alleato con il Pd. Ma dopo due anni di dura opposizione a Marino e ai democratici romani, è difficile dire se questa possa essere una opzione praticabile.
I democratici orfani di Zingaretti. E il Pd? Per ora l’unico nome che risuona per i corridoi di Palazzo Giulio Cesare è quello dell’attuale prefetto Franco Gabrielli. Renzi lo vuole, lui al momento non sembra aver sciolto la riserva. Senza Nicola Zingaretti (oggi presidente della regione Lazio), per i democratici non rimangono molte altre scelte. Non si tratta di un grande comunicatore, ma è certamente un “uomo del fare”.