Ignazio Marino e quella comunicazione senza rotta
Era il sindaco del “daje!”, un’esultanza di cui ormai resta poco. Ignazio Marino infatti oggi è un politico sempre più solo e sempre meno amato dai suoi concittadini. Ma se i problemi della città che amministra sono per certi aspetti atavici e non dipendono certamente tutti dal sindaco, alla base della gestione fallimentare dell’immagine del primo cittadino di Roma ci sono in primis grossolani errori di comunicazione e di previsione di quelle che potrebbero essere le conseguenze delle dichiarazioni, delle azioni e delle decisioni prese dal sindaco della Capitale – ad analizzarli si potrebbe scrivere un manuale di cosa non fare. Avere una comunicazione efficiente significa infatti soprattutto calibrare parole, gesti e significati in relazione al contesto.
E stiamo parlando di una Capitale che per giorni ha rischiato di essere commissariata per mafia, dove anche i Casamonica – del tutto indisturbati – si sono permessi un funerale con elicottero e carrozza, per tacer delle strade dissestate, degli interventi per il Giubileo ridotti al lumicino, di un trasporto pubblico che registra problemi quotidiani (e quasi sempre gravi), di una viabilità che va in tilt alla prima pioggia, di inchieste che hanno travolto il Comune di Roma su diversi fronti. In un contesto simile, invece di assumere per sé il ruolo forte di comandante sempre al timone, Ignazio Marino fa il bello e il cattivo tempo senza curarsi troppo della percezione che i romani hanno della città. L’importante – si direbbe – per Marino è rispondere alle critiche e rispondere qualcosa di tanto opinabile quanto plausibile che purtroppo però non convince più. E mentre i romani quest’estate si affannavano in una città preda dello sciopero bianco dei conducenti del trasporto pubblico e dei funerali dei Casamonica, il sindaco se ne stava ai Caraibi. Non in una località italiana, come qualsiasi altro normale cittadino, no: ai Caraibi. Per carità, scelta legittima. Ma quanto mai sbagliata sotto il profilo dell’empatia e dell’immagine pubblica.
L’ultima tegola in ordine di tempo sul fronte dell’immagine pubblica del sindaco sono state le dichiarazioni non di un politico con interessi particolari ma del papa. Bergoglio, con la forza che sa imprimere alla pronuncia cadenzata e netta delle parole, alle pause e all’espressione del viso, ha smentito categoricamente che il sindaco di Roma fosse stato invitato dal Vaticano negli USA (la settima trasferta per lui negli Stati Uniti). La replica dell’ufficio stampa del sindaco a quel punto è parsa un goffo tentativo di replica: Marino non stava ribattendo a Renzi o a uno degli esponenti di Fratelli d’Italia, no, stava smentendo papa Francesco. Una situazione di quel genere non andava certo gestita nell’immediatezza, con una nota stampa o un video di dubbia qualità girato su un treno. E lo stesso dicasi per il tweet in cui il sindaco ringraziava l’ateneo di Filadelfia per aver sostenuto le spese del viaggio: “Thanks to @Michael_Nutter and @TempleUniv for inviting me, thanks to Temple for covering my travel costs to PHL. Thank you,people of Philly!”. Fa sorridere. Meglio sarebbe stato mostrare le carte, le ricevute, le mail: trasparenza.
A fare da cornice a una comunicazione spesso lontana da qualsiasi contesto e focalizzata sull’ostinazione del sindaco, inoltre, un prurito di permalosità avvelena l’immagine di Marino che appare sempre sulla difensiva, quasi distaccato dalla concretezza di certe critiche, avvolto in messaggi sempre uguali, incentrati sulla sua buona volontà di fronte ai problemi. Ma parole e buona volontà non bastano. Marino dovrebbe iniziare a comunicare all’esterno di voler seriamente prendere in considerazione critiche e accuse, senza trincerarsi sempre dietro presunti attacchi politici e strumentalizzazioni che esistono solo negli oggettivi limiti di una città ormai abbandonata a se stessa.