Spagna, indagato il Presidente catalano: "Ha disobbedito allo Stato"
Con il sostegno di Madrid, Artur Mas è accusato di abuso di potere per un referendum consultivo organizzato nel novembre 2014. Solo pochi giorni fa, il voto ha sancito il dominio regionale degli indipendentisti
Proprio ora che i separatisti catalani sono al 47,8 per cento e sognano per Barcellona un ulteriore distacco dalla capitale spagnola, un tornado politico si abbatte sul Presidente della regione Cataluña, Artur Mas, indagato per disobbedienza civile, violazione dei doveri pubblici e appropriazione indebita. Non esattamente accuse all’acqua di rose, peraltro in un momento cruciale per i catalani, e che rischiano di travolgere l’intero partito indipendentista, Convergencia, e l’opinione pubblica del Paese iberico. Mas avrebbe abusato del proprio potere organizzando, nel novembre del 2014, un referendum sull’indipendenza catalana senza l’approvazione del governo centrale, che lo ha così ritenuto illegale. Allora parteciparono al plebiscito più di due milioni di cittadini, e il “si” alla secessione stravinse.
L’indagine si allarga Assieme a Mas, dovranno presentarsi presso la Corte Suprema della Cataluña, tra il 13 e il 15 ottobre prossimi, anche la ex Vicepresidente Joana Ortega e l’ex consigliere per l’Istruzione Irene Rigau, entrambe tra i fedelissimi del politico, nonché altri cinque testimoni che hanno partecipato alla consultazione elettorale. A sostenere il capo di accusa, il Procuratore generale da Madrid parla di mancato rispetto della sentenza della Corte Costituzionale spagnola, che aveva vietato l’indizione di referendum vincolanti sull’indipendenza. Ma il leader di Convergencia sostiene di aver fatto svolgere ugualmente il voto per un valore “simbolico”: «Legalmente, non ho disobbedito – ha spiegato in una tv di Barcellona – politicamente, ciò che avvenne fu una ribellione democratica contro lo Stato spagnolo». Per il reato di disobbedienza Mas rischia l’interdizione dai pubblici uffici da sei mesi a due anni; se sarà ritenuto colpevole anche degli altri capi d’accusa, la pena potrebbe salire fino a 10 anni.
Scontri e sospetti Sui media spagnoli il terremoto catalano sta alimentando dubbi e sospetti: perché l’indagine e l’accusa vengono fuori solo ora, a dieci mesi dai fatti? Per lo stesso Artur Mas si tratta di una «reazione rabbiosa di un governo ferito nel suo orgoglio, che non sa dialogare e farà di tutto per attaccarmi». Secondo fonti della Procura, la decisione di procedere adesso è stata presa per non influenzare la campagna elettorale in vista del vero referendum, che si è svolto il 27 settembre nella Regione autonoma e ha sancito la maggioranza di seggi vinta dalla lista Junts pel Sí (“Uniti per il sì”). Altre opinioni parlano invece di una volontà precisa di destabilizzare l’ambiente facendo esplodere il caso proprio dopo il voto. E il dito è puntato sul Partito Popolare del premier Mariano Rajoy, da sempre strenuo oppositore dell’indipendenza catalana. Furiosi, com’era prevedibile, gli esponenti del partito di Mas: «Questa è una persecuzione politica da parte delle istituzioni spagnole – ha dichiarato il capogruppo Pere Macias – cercare di affossare con questi metodi chi ha vinto alle urne non dà una bella immagine della democrazia. Dovrebbero portare sul banco degli imputati anche i due milioni di cittadini catalani che hanno votato quel 9 novembre».
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Proprio ora che i separatisti catalani sono al 47,8 per cento e sognano per Barcellona un ulteriore distacco dalla capitale spagnola, un tornado politico si abbatte sul Presidente della regione Cataluña, Artur Mas, indagato per disobbedienza civile, violazione dei doveri pubblici e appropriazione indebita. Non esattamente accuse all’acqua di rose, peraltro in un momento cruciale per i catalani, e che rischiano di travolgere l’intero partito indipendentista, Convergencia, e l’opinione pubblica del Paese iberico. Mas avrebbe abusato del proprio potere organizzando, nel novembre del 2014, un referendum sull’indipendenza catalana senza l’approvazione del governo centrale, che lo ha così ritenuto illegale. Allora parteciparono al plebiscito più di due milioni di cittadini, e il “si” alla secessione stravinse.
L’indagine si allarga Assieme a Mas, dovranno presentarsi presso la Corte Suprema della Cataluña, tra il 13 e il 15 ottobre prossimi, anche la ex Vicepresidente Joana Ortega e l’ex consigliere per l’Istruzione Irene Rigau, entrambe tra i fedelissimi del politico, nonché altri cinque testimoni che hanno partecipato alla consultazione elettorale. A sostenere il capo di accusa, il Procuratore generale da Madrid parla di mancato rispetto della sentenza della Corte Costituzionale spagnola, che aveva vietato l’indizione di referendum vincolanti sull’indipendenza. Ma il leader di Convergencia sostiene di aver fatto svolgere ugualmente il voto per un valore “simbolico”: «Legalmente, non ho disobbedito – ha spiegato in una tv di Barcellona – politicamente, ciò che avvenne fu una ribellione democratica contro lo Stato spagnolo». Per il reato di disobbedienza Mas rischia l’interdizione dai pubblici uffici da sei mesi a due anni; se sarà ritenuto colpevole anche degli altri capi d’accusa, la pena potrebbe salire fino a 10 anni.
Scontri e sospetti Sui media spagnoli il terremoto catalano sta alimentando dubbi e sospetti: perché l’indagine e l’accusa vengono fuori solo ora, a dieci mesi dai fatti? Per lo stesso Artur Mas si tratta di una «reazione rabbiosa di un governo ferito nel suo orgoglio, che non sa dialogare e farà di tutto per attaccarmi». Secondo fonti della Procura, la decisione di procedere adesso è stata presa per non influenzare la campagna elettorale in vista del vero referendum, che si è svolto il 27 settembre nella Regione autonoma e ha sancito la maggioranza di seggi vinta dalla lista Junts pel Sí (“Uniti per il sì”). Altre opinioni parlano invece di una volontà precisa di destabilizzare l’ambiente facendo esplodere il caso proprio dopo il voto. E il dito è puntato sul Partito Popolare del premier Mariano Rajoy, da sempre strenuo oppositore dell’indipendenza catalana. Furiosi, com’era prevedibile, gli esponenti del partito di Mas: «Questa è una persecuzione politica da parte delle istituzioni spagnole – ha dichiarato il capogruppo Pere Macias – cercare di affossare con questi metodi chi ha vinto alle urne non dà una bella immagine della democrazia. Dovrebbero portare sul banco degli imputati anche i due milioni di cittadini catalani che hanno votato quel 9 novembre».