La crisi greca e lo tsunami cinese - Diritto di critica
La crisi greca potrebbe essere una bazzecola al confronto con quanto si sta prospettando in Cina. Dal 12 giugno a oggi, infatti, la borsa cinese ha bruciato oltre tremila miliardi e all’orizzonte si prospetta una bolla tale per cui in molti parlano di una crisi simile a quella del ’29.
Per correre ai ripari, la Banca centrale di Pechino – la stessa che di recente ha investito nelle nostre Unicredit e nel Monte dei Paschi di Siena, affacciandosi anche in Intesa SanPaolo – ha annunciato nuova liquidità per 250 miliardi di yuan; è stato creato un fondo da 19 miliardi di dollari (grazie all’iniziativa di alcuni tra i maggiori operatori del Paese come Citic Securities, Haitong Securities e Guotai Junan Securities), a sostegno del mercato; le compagnie di assicurazione hanno avuto l’ordine di acquistare titoli e sono state sospese le Offerte pubbliche iniziali da parte di società che vogliono quotarsi per la prima volta. In totale è stato sospeso il 71% dei titoli quotati. Eppure sembra sia servito a poco. Il listino di Shanghai, infatti, è cresciuto del 150% in un anno, salvo poi cadere in modo verticale nel giugno scorso, andamento che ha spinto il Washington Post a definire questa come “la più grande bolla degli ultimi tempi”.
Per capire la differenza con la Grecia, basti pensare che ad Atene sono stati bruciati fino ad oggi 500 miliardi di debito pubblico, in Cina tremila in meno di un mese. Ma la borsa cinese ha anche una particolarità di cui non si può non tener conto: le maggiori aziende cinesi si sono quotate a New York o su altre piazze. Come dire: se lo Stato scommette su altro, difficile che “in casa” tutto funzioni a dovere.
C’è poi il discorso delle quotazioni di questi mesi, che adesso in molti definiscono e riconoscono come “irreali” ma capaci nell’ultimo anno di attirare un alto numero di piccoli investitori. E stiamo parlando di un mercato in cui solo nel terzo trimestre del 2013 investitori esteri fecero convogliare oltre 80 miliardi di prestiti bancari.
Nel mentre, l’organo di stampa dell’unione delle banche cinesi, il China Financial News, ha accusato gli operatori statunitensi di aver manipolato l’andamento della borsa e aver creato questa crisi al solo fine di “ostacolare le riforme economiche in Cina”. Come dire: in caso di emergenza, il complotto “esterno” è sempre dietro l’angolo.