Lo spettacolo vuoto di Jurassic World - la recensione - Diritto di critica
di Marco Zonca
Il parco ha riaperto. Dopo quattordici anni torna nelle sale la saga di Jurassic Park, diventata celebre per aver riproposto in chiave contemporanea i dinosauri, (in)seguendo in maniera perfetta le logiche del film d’intrattenimento blockbuster.
Per i più grandi, che hanno visto i tre film precedenti della saga, il solo simbolo presente sulla locandina evoca le aspettative di un’infanzia in cui vedere mostri preistorici viventi (anche solo all’interno di una pellicola) era un evento da non perdere. Un’idea di base che, per ovvi motivi, è stata sviluppata sul versante spettacolare. Nel tempo trascorso, il “parco” è divenuto un “mondo”, lo spettacolo è diventato ancora più grande, l’obiettivo del film è dichiaratamente quello di ingigantire all’ennesima potenza le possibilità spettacolari di un popcorn movie dichiarato.
Dopo aver fatto crescere l’hype negli spettatori affezionati alla saga e promettendo fuochi d’artificio a chi non aveva mai visto i primi film, questo Jurassic World riparte dal primo film aggiungendo l’Indominus rex, una specie creata in laboratorio attraverso l’unione di DNA di diverse specie. Una nuova specie distruttiva calata all’interno di un parco (questa volta aperto al pubblico) pieno di riferimenti (per niente velati) a quello creato nel primo film: viene riproposto lo stesso merchandising, in un cortocircuito culturale dove il film diventa pubblicità dei propri prodotti pubblicitari, trasformando il logo in un brand commerciale di un franchise che prende forma. In diverse scene vengono mostrati prodotti ed oggetti che venivano utilizzati nei primi film, con l’espediente narrativo del ritrovamento del vecchio parco in disfacimento all’interno di quello nuovo.
Nella trama, l’Indominus rex viene creato in laboratorio per poter “vendere” una nuova attrazione nel parco, visto che la novità rivoluzionaria di mostrare dinosauri reali è venuta meno: la ricerca della spettacolarità e della novità mostruosa porta alla distruzione stessa del meccanismo pubblicitario e di quello che lo regge. L’espediente della “creazione in provetta” di organismi potenzialmente dannosi per l’uomo porta una critica palese ai progressi incontrollati della scienza, ma anche ad una rivalsa delle rivendicazioni animaliste. I dinosauri compiono le loro azioni solo in conseguenza a quelle degli uomini, colpevoli di aver “giocato a fare Dio” riportando in vita specie estinte e cercando di utilizzare la forza devastante dei dinosauri per i propri scopi e tornaconti, sia economici sia militari: solo chi riesce a comportarsi con loro “alla pari” (Owen) riesce a sopravvivere. Le diverse specie di dinosauri sono le vere protagoniste del film, mentre le controparti umane risultano per la maggior parte stereotipi, a volte poco credibili durante lo svolgersi della narrazione.
Le relazioni tra i vari personaggi e il loro modo di interagire con l’ambiente che li circonda porta lo spettatore a parteggiare per le creature preistoriche, che meritano la propria rivalsa su una specie che le ha create solo per il proprio diletto. L’unica figura che merita un riconoscimento è Owen (interpretato da Chris Pratt), che svolge ricerche su un gruppo di velociraptor, con i quali riesce a creare un rapporto di fiducia ed una conseguente forma di comunicazione: il personaggio è ben caratterizzato, a parte alcuni scambi di battute con la responsabile del parco Claire (il cui personaggio risulta discutibile).
La parte finale ricorda inevitabilmente diversi scontri proposti nelle pellicole giapponesi e americane con protagonisti i kaijū, anche se risulta piuttosto sbrigativa e spiazzante anche per quanto riguarda lo svolgimento. Una pellicola godibile sotto l’aspetto spettacolare, che però non ritrova il fascino del primo film e che porta alla conclusione una storia con (forse) troppi punti interrogativi lasciati irrisolti.
Gli incassi fatti registrare nei primi giorni di programmazione fanno pensare ad un probabile sequel, in cui a farla da padrone sarà il marchio di fabbrica della saga: la ricerca scientifica in bilico tra morale e profitto.