Utopia del cittadino libero: “il nuovo corso” di Mario Pomilio - Diritto di critica
Lo sgomento davanti alla libertà, una sorta di panico strisciante nelle menti di quanti per anni sono stati abituati ad obbedire, a uniformarsi, a concepire la loro vita entro binari definiti, senza mai pensarsi capaci di libero arbitrio.
Il libro di Mario Pomilio “il nuovo corso” uscito nel settembre scorso per i tipi Hacca edizioni (nella collana diretta da Giuseppe Lupo) ma pubblicato per la prima volta negli anni dei cosiddetti “fatti d’Ungheria”, riporta all’attenzione un tema di scottante attualità: la libertà del cittadino, la capacità della società civile di scendere in piazza per manifestar-si libera nel pensiero, negli atti, nelle prospettive.
La vicenda si svolge in un placido paesino di provincia – e come in ogni utopia/distopia che si rispetti, Pomilio non fornisce al lettore alcuna coordinata spaziale che possa individuare una città o una regione – e dove ogni giorno viene distribuito alle edicole il quotidiano “La verità“, giornale del Partito unico che governa la nazione. Il romanzo inizia con il cortocircuito di questo oliato sistema, tale per cui una mattina e solo in questo sperduto paesino di provincia, vengono distribuite copie false de “La verità” in cui si dà “l’annunzio dell’inizio del nuovo corso: dell’instaurazione, in altri termini, d’un regime d’autentica, intera, definitiva, libertà”. Sul momento nessuno capisce se si tratti di uno scherzo, d’un sabotaggio o di una prova di fedeltà da parte del Partito che in quel modo vuole mettere alla prova la cittadinanza. Né lo si capirà fino alla fine del libro.
“Forse però – scrive Pomilio – un’altra cosa non si previde altrettanto bene: che la credenza nella libertà avrebbe assunto le proporzioni d’una fede e lo slancio d’una passione; e che uomini che non la conoscevano, per avervi creduto, ne avrebbero trepidato e sofferto come se da sempre fossero vissuti nell’attesa di essa”. Protagonista di tanta parte del romanzo, non a caso, è il giornalaio – Basilio – che per primo riceve la copia de “La verità” e legge le notizie riferite al “nuovo corso”: il Partito si scioglie per aver assolto ai suoi compiti, i cittadini sono finalmente liberi.
Ma liberi di fare cosa? “Più cercava che cos’era veramente la libertà, più gli capitava come quando si sbuccia una cipolla, che uno crede d’arrivare al bulbo e non trova altro che nuovi strati. Più cercava di rifugiarsi nel suo universo di sempre, quel comodo e assestato universo dove c’era chi si preoccupava di regolargli i pensieri, organizzarglieli in un sistema, distinguergli il giusto dall’inopportuno e dall’ingiusto, prescrivergli che cosa doveva fare o non fare, più esso gli appariva peggio d’un fortilizio diroccato dal quale di nuovo quella parola, la libertà, salisse su splendida e astratta, simile a un’ultima bandiera su una terra di nessuno. A lungo Basilio rifletté e rifletté. E siccome non c’era abituato, alla fine si sentì stanco e si dispose ad adeguarsi […] Alla peggio, si sarebbe comportato come avrebbe visto fare gli altri“.
Già dalle prime battute, il libro di Pomilio focalizza l’attenzione del lettore su due argomenti cardine: la centralità e l’importanza di una buona informazione – con i giornali capaci di ridare speranza e farsi veicolo di cambiamenti anche storici; e la difficoltà per ogni cittadino nel pensarsi realmente libero rispetto alle convenzioni, alla politica, ai dettami sociali. Fatta eccezione per la repressione che dura l’arco di poche righe e si riduce a “echi” di colpi d’arma da fuoco e camionette a sirene spiegate, infatti, il popolo descritto da Pomilio non è vessato, non è oppresso in modo pesante e definitivo dal regime: si tratta invece di cittadini abituati. Tanto che con l’avvento della libertà – ragionerà più avanti Basilio – rischiano di restare senza una finalità: senza Storia perché senza guida. E Pomilio scandaglia tutti i dubbi e le paure causate da questo “cortocircuito”: “meglio in fondo fare a meno della stessa libertà e restarsene ancora annidati nel seno caldo della Storia; sicuri starsene al riparo di quella dolce casa antica dove per l’uomo, nonostante tutto, era bello vivere e lavorare, bello vivere e pensare e, sì, anche morire, se lì la stessa morte pareva avere un senso […]”.
Al netto dei dubbi, però, una è la reazione principale che pervade la cittadinanza alla notizia della libertà “concessa” dal Partito: la gioia. A poche ore dalla distribuzione del quotidiano, infatti, nascono manifestazioni spontanee di strada, le persone scendono nelle piazze e formano comitati “a difesa” della libertà, sparute pattuglie si avventurano nei paesi limitrofi per portare la lieta novella – e qualche copia contraffatta de “La verità” in questo modo valica i “confini” di questa isola in cui la distopia si è appena tramutata in utopia dell’uomo libero. “Da quel momento – scrive Pomilio – il nuovo corso divenne il pretesto per una di quelle rare giornate di suprema spensieratezza in cui pare che ci si precipiti a vivere esclusivamente nel presente e il fatto d’essere in tanti a condividere la medesima gioia sembra renderla più sicura, più fraterna e più dolce”.
E questa frenesia, questa contentezza per il “nuovo corso” pervade così le fabbriche, dove in modo naturale sembra nascere il primo sindacato quando gli operai tutti insieme – dopo non poche esitazioni, quasi fossero bambini alle prese con qualcosa di straordinario e pauroso – chiedono al direttore di conoscere la finalità del prodotto cui lavorano tutti i giorni, chiusi nelle loro celle di vetro, in modo ripetitivo e meccanico. In parallelo, per la prima volta il direttore di un carcere si interroga sull’opportunità di giustiziare un condannato solo perché gli è stato ordinato: da quel momento avrebbe potuto essere lui il giudice e qualcosa gli diceva che era meglio salvare una vita piuttosto che uccidere il prigioniero. Pomilio non dimentica nemmeno gli invasati sempre presenti nei regimi – il riferimento al nazismo è dietro l’angolo – e racconta di un primario d’ospedale che conduce in segreto esperimenti sugli uomini per renderli sempre più obbedienti e remissivi.
L’intero sistema va dunque in crisi per un giorno: i cittadini gioiscono, manifestano, si rendono conto della loro essenza positiva di esseri umani pensanti e capaci di decidere del proprio destino. Almeno fino a quando non viene consegnata – la mattina successiva – la nuova copia de “La verità”. Il giorno dopo, infatti, il giornale esce come se il numero sul “nuovo corso” non fosse mai esistito. Con tutte le conseguenze del caso: erano bastate ventiquattr’ore ai cittadini per pensarsi liberi e avvertirsi menti indipendenti, per farli appassionare a quel sentimento nuovo e vivo.
Pomilio, in questo suo libro – “accusato” dall’editore, Valentino Bompiani, di esser privo del colpo di scena ma in realtà ben costruito e raffinato e scorrevole – non chiarisce mai come le copie false del giornale siano arrivate in Paese, non indaga i membri del Partito, non va oltre la crisi di quell’unica giornata in cui ogni cittadino si è sentito libero. Ma chiusa l’ultima pagina un pensiero resta nel lettore: la misura della libertà che contraddistingue e interroga ciascuno. I limiti, le debolezze e le pilatesche giustificazioni.