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Diritto di critica | November 5, 2024

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Dopo Tunisi, l'Italia si arma

Il governo italiano ha deciso di rafforzare il dispositivo militare nel quadrante sud. Quattro navi verso la Libia. Ma la capacità operativa del nostro Paese è limitata

È ora di intervenire. Anzi, forse è anche un po’ tardi. I fatti di Tunisi hanno messo in allarme l’intelligence italiana. Il virus dell’Isis si sta diffondendo con una velocità sorprendente in Nord Africa. E ora la macchina bellica italiana si sta ri-dislocando verso sud.

Il terrore dietro casa. Che la Tunisia fosse già da anni sotto la minaccia del terrorismo di matrice islamica non è un mistero. Dopo la “primavera” e dopo un periodo di transizione, ora ai vertici del governo di Tunisi siedono i laici e gli islamici moderati. Per questo l’esecutivo nordafricano è visto come una minaccia per la diffusione dei movimenti jihadisti. Ma l’attentato dell’altro giorno non sembra solo diretto a colpire il governo locale, ma anche – dopo le rivendicazioni diffuse su Twitter – gli occidentali. L’effetto mediatico è forte: Tunisi è a pochi chilometri da Cagliari e da Trapani e Palermo. Così si insinua la paura negli occidentali: “Siamo oramai ai vostri confini”, sembrano voler dire. E colpire i turisti in paesi arabi significa anche ingenerare quel terrore che porta i croceristi a preferire mete più “tranquille”, con un conseguente grosso danno all’indotto turistico locale. Meno turismo, più povertà. E maggiore capacità del terrorismo e del fanatismo di attecchire.

“Mare sicuro”. Ora il governo italiano corre ai ripari in attesa di una risoluzione dell’Onu che dia il via libera all’intervento armato in Libia. Quattro navi militari si stanno riposizionando di fronte alle coste libiche. Il dispiegamento militare italiano costa anche di incursori e fucilieri di marina, droni dell’Aeronautica, elicotteri. Probabilmente è stato rafforzato il pattugliamento dello spazio aereo nazionale con l’incremento dei caccia intercettori operativi nel quadrante sud. L’Operazione Mare Sicuro, che conta l’impiego di circa 1.000 uomini, dovrebbe garantire la capacità di intervento rapido in caso di necessità di fronte a minacce a connazionali sul territorio libico e minacce ad interessi nazionali come attacchi a piattaforme petrolifere e gasdotti.

Bisognerebbe fare di più. Il problema, però, rimane la capacità operativa del nostro Paese, lasciato solo dalla comunità internazionale e non in grado da solo di imporre un blocco navale alla Libia o un’eventuale azione su vasta scala. Al momento le forze armate italiane posso essere in grado di intervenire con alcuni blitz, ma non ci sono né i numeri né la capacità operativa di far sbarcare un contingente cospicuo di forze in Libia, anche se ci dovesse essere il via libera dell’Onu. I tagli alle forze armate e anche la loro riduzione in termini numerici in base a quelli che fino a qualche anno fa venivano definiti come “nuovi assetti geopolitici” non garantiscono all’Italia una concreta capacità di proiezione fuori dai confini nazionali. Non sarà il numero degli F35 acquistati a fare una sostanziale differenza. Ma certamente possono fare la differenza il numero di uomini da impiegare (sempre di meno, dati i tagli) e le navi da impiegare. Certo, in pochi potevano immaginare che la Libia sarebbe divenuta una polveriera. Ma la minaccia islamista è nota da più di un decennio. Ora è un po’ tardi per correre ai ripari.

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