La Libia è nel caos ma l'Europa ha le mani legate - Diritto di critica
La situazione nel nord della Libia è sempre più preoccupante; i jihadisti dell’ISIS hanno preso il controllo della città costiera di Sirte nella notte tra giovedì e venerdì. I segnali di un’avanzata dei terroristi del Califfato c’erano già da tempo, come dimostra l’attacco del 27 gennaio scorso al Corinthia Hotel di Tripoli.
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Questa volta un gruppo di terroristi ha preso il controllo di alcune radio e della tv locale, trasmettendo messaggi di al-Baghdadi e proclami islamisti, invitando la popolazione a sottomettersi. Foto di combattenti in tuta mimetica ai microfoni delle emittenti sono apparse sui social network.
Sempre venerdì i militanti hanno attaccato due pozzi petroliferi a El Bahi, nei pressi del terminal costiero di Ras Lanuf, e a el Dahra, nel Sud Ovest, mentre a El Dahra uomini dell’Isis hanno dato fuoco a una raffineria, considerata una delle più importanti della zona di Sirte.
Nel frattempo alcuni media egiziani, citando messaggi Twitter dell’ISIS, hanno reso noto che 21 connazionali di fede copta sono stati sgozzati dai jihadisti. Il governo del Cairo non ha però ancora confermato la notizia.
Venerdì pomeriggio l’ambasciata italiana a Tripoli ha rinnovato l’invito ai nostri connazionali a lasciare il Paese. L’indicazione era stata pubblicata sul sito www.viaggiaresicuri.it già il 1 febbraio scorso.
A questo punto sarà utile osservare come reagiranno altre formazioni terroristiche presenti nel Paese come Ansar al-Sharia e alcune milizie di Fajr Lybia, anche se è verosimile che possano decidere di stringere un’alleanza con i terroristi di al-Baghdadi. Altro elemento di estrema importanza da considerare è il rapporto tra AQIM (Al-Qaeda in the Islamic Maghreb) e ISIS visto che già dal luglio 2014 circolano notizie sull’alleanza di un ramo del gruppo qaedista con i terroristi del Califfato.
Fattore di non poco conto visto che è proprio AQIM a fungere da service provider per i trafficanti di clandestini che riversano sistematicamente barconi verso le coste italiane. Il rischio è evidente: nel momento in cui AQIM, fedele all’ISIS, dovesse decidere di infiltrare terroristi in Europa, il modo più semplice sarebbe proprio quello di inserirli sui barconi, mimetizzati tra i profughi.
La Libia oggi è totalmente fuori controllo, non c’è un governo in grado di gestire il territorio ed è diventata terreno ottimale per organizzazioni criminali e terroriste. I suoi porti sono ormai delle vere e proprie basi e centrali di comando per il traffico di clandestini verso Italia e Malta. Non si tratta di illazioni ma di rischi concreti e fondati su elementi ben precisi. Il 17 dicembre 2014 infatti da Palermo era giunta notizia che la Procura aveva aperto un’inchiesta su potenziali infiltrazioni di elementi dell’ISIS tra gli immigrati giunti nel 2014 con i barconi. Si era inoltre parlato di alcune testimonianze di persone giunte con le barche ed entrate in contatto con estremisti che avevano affermato di essere diretti in Italia per ricongiungersi con gruppi già presenti in territorio italiano, tra cui Roma e il cui obiettivo sarebbe il Vaticano.
Cosa potrebbero essere in grado di fare potenziali terroristi infiltrati in Italia nascosti tra i clandestini è difficile dirlo, ma il fenomeno non può certo essere sottovalutato. C’è poi il rischio che i terroristi, entrati in possesso di missili scud, possano tentare di lanciarli verso le coste italiane. Una minaccia concreta e rilanciata anche sui social network. Un jihadista ha infatti postato sul proprio account Twitter una mappa in cui ha evidenziato che “la distanza tra Roma e Sirte è di 1.250 chilometri, come quella che separa (le due città saudite, ndr) Jeddah e Dammam”. “Un missile scud può arrivare fino in Italia“, ha aggiunto l’utente Qalam Hur ricordando che Sirte dista 450 chilometri dal suolo italiano.
Una soluzione. Il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, intervistato da SkyTg24, ha affermato: “Se non si trova una mediazione”, bisogna pensare “con le Nazioni Unite a fare qualcosa in più”. L’Italia è “pronta a combattere in un quadro di legalità internazionale”. Nel frattempo stamattina l’Egitto ha iniziato i raid per vendicare – questa la scusa ufficiale – l’uccisione dei 21 copti.
Le domande però sorgono spontanee: l’Italia è economicamente e operativamente in grado di fronteggiare un’azione militare in Libia? Le precedenti iniziative dell’Onu si sono rivelate un fiasco totale, dalla Somalia a quell’intervento in Libia del 2011 (autorizzato dalla risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza) che ha portato il paese al disastro attuale.
In caso di un potenziale attacco in Libia, chi può poi garantire che in Italia non possano aver luogo attacchi da parte di jihadisti? Come reso noto in un rapporto dell’Italian Team for Security, Terroristic Issues and Managing Emergencies (Itstime), secondo alcune stime di varie associazioni che si occupano dell’emergenza immigrazione in Sicilia, sarebbero 50 mila gli immigrati spariti da porti e centri. Secondo calcoli più azzardati, gli stranieri che in generale sfuggono ai controlli sarebbero oltre centomila. Nel 2014 sono sbarcati sulle coste italiane circa 175 mila persone e, a detta del Viminale, molti potrebbero essere passati dai centri di accoglienza per poi restare in Italia come profughi.
La soluzione al pericolo jihadista in Libia non può che essere di matrice interventista e immediata; si è infatti aspettato già troppo. Si potrebbe pensare a un’azione coordinata tra quei paesi direttamente interessati come Egitto, Algeria, Francia e Italia, in un quadro di “legalità internazionale”, anche se l’eventualità appare poco probabile per tutta una serie di questioni ed equilibri internazionali. Bisogna inoltre tenere in considerazione che l’Egitto, estremamente preoccupato per la situazione oltre confine (già intervenuto più volte negli ultimi mesi con raid aerei conto i jihadisti in Libia), ha appena firmato un accordo di cooperazione economica e militare con la Russia; è dunque probabile che un intervento egiziano possa non essere ben visto da alcuni paesi membri della NATO come Stati Uniti e Turchia.
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