Working poor, quando lavorare non basta
Quasi 4 milioni di lavoratori italiani sono sotto la soglia di povertà. Colpiti soprattutto i giovani che rimangono a casa e senza la speranza di un futuro migliore
Lavorare, sì. Ma non basta più. Oggi si può essere poveri anche con un lavoro a tempo pieno. È certamente l’effetto di una crisi che non è stata affrontata dalla politica con politiche di welfare adeguate. Così, gli stipendi sono crollati e, al tempo stesso, il numero di coloro che, nonostante un impiego, non riesce ad arrivare alle fine del mese.
Poveri e lavoratori. In Italia i working poor sono 3,7 milioni. Sono lavoratori autonomi ma anche dipendenti di varie tipologie contrattuali. Sono in gran parte giovani, con un’età compresa tra i 25 e i 40 anni. È quanto emerge da uno studio condotto dall’economista Claudio Lucifora della Cattolica di Milano. I lavoratori poveri sono stati individuati analizzando la remunerazione netta per ora lavorata, considerando come soglia di povertà i due terzi del reddito orario mediano. Così sono 2,9 milioni i lavoratori dipendenti che percepiscono meno di 6,2 euro per ora lavorata, mentre sono poco più di 700mila le partite iva retribuite meno di 4,8 euro l’ora, considerando, inoltre, che il 55% degli autonomi, oggi, guadagna meno di 15mila euro l’anno.
Un grave danno per la società. Così è più difficile, per i giovani, riuscire ad emanciparsi dalla famiglia d’origine e pensare ad un futuro da adulti. Ma, oltre al rischio di creare nel lungo periodo una società di eterni adolescenti “per forza”, c’è un pericolo demografico reale. Questa situazione che colpisce soprattutto i giovani, non permette a questi di mettere su famiglia e allo stesso tempo non favorisce la maternità che viene posticipata sempre più, fino a ridosso del limite fisiologico della fertilità femminile. Così, quando poi è possibile realizzare il desiderio di maternità, rimanere incinta è più difficile se non già impossibile.
Quando la famiglia non basterà più. Ma come sarà l’Italia tra 20-30 anni se non si inverte la rotta? Sarà un’Italia ancora più “vecchia”, impoverita nel portafogli e soprattutto demograficamente. Oggi è la famiglia, ancora una volta, il vero ammortizzatore sociale. Ma fino a quando riuscirà ad appianare le diseguaglianze? Gli stipendi e le pensioni dei genitori non ci saranno per sempre. E soprattutto, se gli stipendi sono bassi, saranno ancora più povere le pensioni di coloro che oggi hanno 30 anni.
La laurea è ancora uno “scudo”. Il titolo di studio rappresenta ancora un valore aggiunto. Oggi, un lavoratore non laureato su cinque è sotto la soglia di povertà. Tra i laureati la percentuale è decisamente più bassa, anche se in forte aumento. Se prima della crisi solo 3,7% dei laureati faceva fatica ad arrivare alla fine del mese, oggi la percentuale è salita al 7,2%.
Lavorare, sì. Ma non basta più. Oggi si può essere poveri anche con un lavoro a tempo pieno. È certamente l’effetto di una crisi che non è stata affrontata dalla politica con politiche di welfare adeguate. Così, gli stipendi sono crollati e, al tempo stesso, il numero di coloro che, nonostante un impiego, non riesce ad arrivare alle fine del mese.
Poveri e lavoratori. In Italia i working poor sono 3,7 milioni. Sono lavoratori autonomi ma anche dipendenti di varie tipologie contrattuali. Sono in gran parte giovani, con un’età compresa tra i 25 e i 40 anni. È quanto emerge da uno studio condotto dall’economista Claudio Lucifora della Cattolica di Milano. I lavoratori poveri sono stati individuati analizzando la remunerazione netta per ora lavorata, considerando come soglia di povertà i due terzi del reddito orario mediano. Così sono 2,9 milioni i lavoratori dipendenti che percepiscono meno di 6,2 euro per ora lavorata, mentre sono poco più di 700mila le partite iva retribuite meno di 4,8 euro l’ora, considerando, inoltre, che il 55% degli autonomi, oggi, guadagna meno di 15mila euro l’anno.
Un grave danno per la società. Così è più difficile, per i giovani, riuscire ad emanciparsi dalla famiglia d’origine e pensare ad un futuro da adulti. Ma, oltre al rischio di creare nel lungo periodo una società di eterni adolescenti “per forza”, c’è un pericolo demografico reale. Questa situazione che colpisce soprattutto i giovani, non permette a questi di mettere su famiglia e allo stesso tempo non favorisce la maternità che viene posticipata sempre più, fino a ridosso del limite fisiologico della fertilità femminile. Così, quando poi è possibile realizzare il desiderio di maternità, rimanere incinta è più difficile se non già impossibile.
Quando la famiglia non basterà più. Ma come sarà l’Italia tra 20-30 anni se non si inverte la rotta? Sarà un’Italia ancora più “vecchia”, impoverita nel portafogli e soprattutto demograficamente. Oggi è la famiglia, ancora una volta, il vero ammortizzatore sociale. Ma fino a quando riuscirà ad appianare le diseguaglianze? Gli stipendi e le pensioni dei genitori non ci saranno per sempre. E soprattutto, se gli stipendi sono bassi, saranno ancora più povere le pensioni di coloro che oggi hanno 30 anni.
La laurea è ancora uno “scudo”. Il titolo di studio rappresenta ancora un valore aggiunto. Oggi, un lavoratore non laureato su cinque è sotto la soglia di povertà. Tra i laureati la percentuale è decisamente più bassa, anche se in forte aumento. Se prima della crisi solo 3,7% dei laureati faceva fatica ad arrivare alla fine del mese, oggi la percentuale è salita al 7,2%.