Renzi, ovvero: la maggioranza è mobile
Nella partita per il Quirinale rischia di essere cruciale il ''soccorso azzurro'', tampone della crisi interna al Pd
L’ANALISI – La partita sul Quirinale per Matteo Renzi mette in gioco molto più che non la semplice elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Sebbene infatti sulla carta il Pd abbia la maggioranza, nei fatti e nei mesi le dinamiche all’interno della compagine di governo sono cambiate.
La minoranza Pd è sempre più aggressiva e presente, sia sui media che nei numeri, con incontri ad hoc tra civatiani, bersaniani e compagnia, per mostrare i muscoli al presidente del Consiglio. Ma anche Alfano non è più il fuggitivo di qualche tempo fa e sul Quirinale sembra stia comportandosi più da figliuol prodigo (e stampella) di Berlusconi che non da alleato di governo.
Per parte sua, Renzi vorrebbe strambare e superare il giro di boa dell’elezione del nuovo Capo dello Stato a modo suo: proponendo un proprio nome (che metta d’accordo tutti). I giochi, però, si stanno complicando ogni giorno di più e nei fatti l’elezione rischia di palesare dinamiche “di maggioranza” capaci di mettere a serio rischio il futuro del governo. Come dire: altro che 2018, con un Italicum ormai di prossimo possibile utilizzo.
Se infatti Renzi non può più contare su una parte consistente del suo partito, lo stesso Alfano rischia di giocargli qualche colpo basso sul più bello. Il tutto in un contesto in cui – poco prima di Natale – Paolo Romani (di Forza Italia) si ritrovò a convocare d’urgenza all’alba parlamentari FI pur di non far mancare il numero legale in aula e permettere di far arrivare in calendario la legge elettorale. Il cosiddetto soccorso azzurro. E non è stato l’unico caso.
Da non sottovalutare anche la truppa dei fuoriusciti Cinque Stelle, ormai divenuti un congruo gruppetto di parlamentari, pronti a “sporcarsi le mani” per dare il loro contributo alla politica nazionale.
Sul Quirinale, dunque, si paleseranno le vere divergenze o le consonanze interne al governo e i passi del futuro esecutivo. Berlusconi, questo è certo, sa di essere sempre più centrale ai fini dell’approvazione di determinate riforme. A tenerlo in campo, proprio Renzi a cui il Cavaliere serve per arginare e depotenziare sulla carta la minoranza interna al Pd e assicurarsi una sorta di “maggioranza di riserva”, da chiamare in causa all’abbisogna. Nel cassetto, l’accordo del Nazareno e quella norma “Salva-Berlusconi”, per ora solo rimandata che tanto fece discutere durante le vacanze natalizie. Ma potrebbe esserci dell’altro, come – ad esempio – un Capo dello Stato non ostile al leader forzista. In un contesto in cui – e forse non è un caso – della legge sul conflitto di interessi ad esempio al governo nessuno parla più.
La palla, dunque, in questa complessa partita con marcature a uomo, sta a Matteo Renzi: l’attuale premier deve decidere se andare avanti con il proprio partito – e quindi ricompattarlo accettando di scendere a patti con una minoranza sempre più riottosa. Oppure se continuare ad affidarsi a quel Silvio Berlusconi che credette in lui prima dello stesso Pd e che appare – almeno fino ad oggi – sempre pronto a stendere una rete salva-vita sotto al “palazzo del governo”, quando tutto rischia di crollare.
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L’ANALISI – La partita sul Quirinale per Matteo Renzi mette in gioco molto più che non la semplice elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Sebbene infatti sulla carta il Pd abbia la maggioranza, nei fatti e nei mesi le dinamiche all’interno della compagine di governo sono cambiate.
La minoranza Pd è sempre più aggressiva e presente, sia sui media che nei numeri, con incontri ad hoc tra civatiani, bersaniani e compagnia, per mostrare i muscoli al presidente del Consiglio. Ma anche Alfano non è più il fuggitivo di qualche tempo fa e sul Quirinale sembra stia comportandosi più da figliuol prodigo (e stampella) di Berlusconi che non da alleato di governo.
Per parte sua, Renzi vorrebbe strambare e superare il giro di boa dell’elezione del nuovo Capo dello Stato a modo suo: proponendo un proprio nome (che metta d’accordo tutti). I giochi, però, si stanno complicando ogni giorno di più e nei fatti l’elezione rischia di palesare dinamiche “di maggioranza” capaci di mettere a serio rischio il futuro del governo. Come dire: altro che 2018, con un Italicum ormai di prossimo possibile utilizzo.
Se infatti Renzi non può più contare su una parte consistente del suo partito, lo stesso Alfano rischia di giocargli qualche colpo basso sul più bello. Il tutto in un contesto in cui – poco prima di Natale – Paolo Romani (di Forza Italia) si ritrovò a convocare d’urgenza all’alba parlamentari FI pur di non far mancare il numero legale in aula e permettere di far arrivare in calendario la legge elettorale. Il cosiddetto soccorso azzurro. E non è stato l’unico caso.
Da non sottovalutare anche la truppa dei fuoriusciti Cinque Stelle, ormai divenuti un congruo gruppetto di parlamentari, pronti a “sporcarsi le mani” per dare il loro contributo alla politica nazionale.
Sul Quirinale, dunque, si paleseranno le vere divergenze o le consonanze interne al governo e i passi del futuro esecutivo. Berlusconi, questo è certo, sa di essere sempre più centrale ai fini dell’approvazione di determinate riforme. A tenerlo in campo, proprio Renzi a cui il Cavaliere serve per arginare e depotenziare sulla carta la minoranza interna al Pd e assicurarsi una sorta di “maggioranza di riserva”, da chiamare in causa all’abbisogna. Nel cassetto, l’accordo del Nazareno e quella norma “Salva-Berlusconi”, per ora solo rimandata che tanto fece discutere durante le vacanze natalizie. Ma potrebbe esserci dell’altro, come – ad esempio – un Capo dello Stato non ostile al leader forzista. In un contesto in cui – e forse non è un caso – della legge sul conflitto di interessi ad esempio al governo nessuno parla più.
La palla, dunque, in questa complessa partita con marcature a uomo, sta a Matteo Renzi: l’attuale premier deve decidere se andare avanti con il proprio partito – e quindi ricompattarlo accettando di scendere a patti con una minoranza sempre più riottosa. Oppure se continuare ad affidarsi a quel Silvio Berlusconi che credette in lui prima dello stesso Pd e che appare – almeno fino ad oggi – sempre pronto a stendere una rete salva-vita sotto al “palazzo del governo”, quando tutto rischia di crollare.