La rivolta di Corleone - Diritto di critica
Corleone, regno di Totò Riina, Bernardo Provenzano e Leoluca Bagarella, inizia forse a vedere la luce: quella che passa dalle crepe nel muro dell’omertà, aperte da alcuni imprenditori e commercianti locali che hanno ammesso ai carabinieri di essere vittime di estorsione da parte delle cosche. Per la prima volta, nella roccaforte storica e simbolica di Cosa Nostra nell’entroterra siciliano ha alzato la testa chi negli anni scorsi aveva sempre taciuto e pagato pur di vivacchiare, e sono iniziati gli arresti.
L’operazione. L’inchiesta antimafia coordinata dalla Dda di Palermo fra i comuni di Corleone, Belmonte Mezzagno e Villafrati nella giornata di ieri ha infatti portato all’arresto di quattro persone, presunti boss e gregari indagati per estorsione con l’aggravante dell’utilizzo metodo mafioso. I provvedimenti sono il prosieguo dell’operazione “Grande Passo” dello scorso settembre, quando erano stati colpiti i presunti esponenti delle famiglie mafiose della zona. Dalle ultime indagini si sta cominciando a ricostruire gli assetti delle famiglie mafiose di Palazzo Adriano e di Corleone, nonché i rapporti del mandamento con quelli limitrofi; è stata inoltre scoperta una serie di estorsioni ai danni di imprenditori locali impegnati nei settori dell’edilizia e del commercio: il “pizzo” riguardava sia le fasi di apertura e la gestione degli esercizi commerciali.
Il contributo degli imprenditori. Il primo passo per incrinare il muro dell’omertà che da sempre avvolge Corleone e limitrofi è stato il racconto ai carabinieri di un imprenditore, convocato in caserma perché intercettato mentre chiedeva uno sconto sul pizzo: dopo aver negato il pagamento, l’uomo ha però narrato di anni di soprusi. Il comandante dei carabinieri di Monreale, Pierluigi Solazzo , ha definito la cosa “un ottimo segnale”, perché «i commercianti, già stritolati dalla crisi, non possono più sopportare anche la pressione mafiosa». Le indagini ne hanno ricostruiti in totale quattro, di nuovi casi di estorsione, e grazie al racconto delle vittime è stato rivelato il meccanismo del pagamento del pizzo: l’imprenditore è chiamato a versare le somme non solo alle famiglie mafiose del proprio paese d’origine, ma anche a quelle delle zone dove svolge il suo lavoro. Oltre agli imprenditori impegnati nell’edilizia pubblica e negli appalti, vittime privilegiate sarebbero i singoli esercizi commerciali e chi esegue lavori di edilizia privata.
Il ruolo di preziosa collaborazione degli imprenditori corleonesi nell’ambito delle indagini è stato sottolineato dagli investigatori, che hanno evidenziato l’abbandono dell’atteggiamento di reticenza che fino ad oggi aveva caratterizzato gli imprenditori della zona. «Per la prima volta, nell’ex regno dei boss Riina e Provenzano, gli imprenditori hanno avuto la forza di rompere il muro di omertà e dire basta, denunciando i propri estortori – ha commentato Antonello Montante, presidente di Confindustria Sicilia e delegato nazionale per la legalità – Un segnale di enorme valore e un grandissimo cambiamento culturale che conferma come il seme della ribellione continui a dare i suoi frutti».