Egitto, l'ennesima strage silenziosa per Piazza Tahrir - Diritto di critica
Morti e feriti negli scontri tra polizia e manifestanti, riuniti al Cairo per il quarto anniversario della Rivoluzione che scacciò il dittatore Mubarak
Piazza Tahrir quattro anni dopo. Ancora un bollettino di guerra in quella che doveva essere una giornata di commemorazione della rivolta del 25 gennaio 2011, quando migliaia di egiziani scesero in piazza per chiedere la democrazia, e un nuovo Egitto. Ufficialmente il governo di Al-Sisi nei giorni scorsi aveva vietato la manifestazione a causa del lutto nazionale per la morte del re saudita Abdullah, quindi gli attivisti sapevano che non sarebbe stato facile sfilare per la città. Ma i numeri del massacro, confermati dai media e dal Ministero della Salute, sono da brividi: almeno 23 morti e un centinaio di feriti, caduti sotto la mano pesante della polizia. Scontri anche ad Alessandria e in altri piccoli centri. In piazza, tra gli altri, sono scesi anche movimenti giovanili come quello del “6 Aprile” e gruppi di Fratelli Musulmani; uno di loro sarebbe rimasto ucciso proprio ad Alessandria.
E a gettare benzina sul fuoco, da un lato la notizia della scarcerazione dei due figli di Mubarak, detenuti per corruzione, e dall’altro l’uccisione praticamente in diretta della giovane Shaimaa el Sabagh, leader del piccolo partito “Alleanza popolare socialista”, raggiunta da proiettili di gomma mentre marciava e deponeva fiori in onore dei martiri del 25 gennaio 2011. Il Ministero dell’Interno ha negato di averla colpita a morte, ma solo ferita e trasportata in ospedale dove poi sarebbe deceduta, ma il Procuratore di Stato egiziano ha aperto un’inchiesta sull’incidente. «È inaccettabile che venga ancora versato il sangue di egiziani che vogliono esprimere le loro vedute pacificamente, quattro anni dopo la gloriosa rivoluzione» – ha dichiarato l’ex presidente candidato, Hamdeen Sabahi.
Il governo egiziano ha fatto di tutto per boicottare l’adunata, prima transennando rigorosamente l’area attorno alla piazza, poi proclamando addirittura il 25 gennaio giorno di vacanza, per “svuotare” i dintorni del centro città. Ma i gruppi di attivisti sono riusciti ugualmente a manifestare, a proprio rischio e pericolo, al grido di «pane, libertà e giustizia sociale». Le agenzie di stampa riferiscono di scontri a fuoco, ordigni rudimentali costruiti ai lati delle strade e lacrimogeni usati in grandi quantità. Oltre che con la polizia, il quotidiano “Egypt Today” parla di tafferugli che hanno coinvolto alcuni sostenitori di Al-Sisi e altri dei Fratelli Musulmani.
La democrazia è ancora lontana dalla realtà egiziana, sebbene i riflettori mediatici si siano spenti sul Paese e sulle sue contraddizioni. Proprio qualche giorno fa, l’attuale Presidente Al-Sisi aveva giustificato la dura legge anti-manifestazioni del novembre 2013 e la sospensione dello Stato di diritto come conseguenza cautelativa dovuta all’allarme terrorismo islamico. Il leader ribadisce da tempo che «l’Egitto non è pronto per la democrazia, ci vorranno una ventina di anni perché si compia la transizione post Mubarak. Una volta messo in sicurezza il Paese, la libertà fiorirà spontaneamente». Ma le richieste di giustizia sociale e libertà non c’entrano nulla con il pericolo terrorismo, o almeno non in Piazza Tahrir, non il 25 gennaio. La democrazia non può fiorire spontaneamente se continuerà ad essere repressa, o bloccata con la forza. Nel 2011, tra il 25 gennaio e l’11 febbraio, morirono circa ottocento persone. Ancora lo scorso anno, per il terzo anniversario di Piazza Tahrir, secondo alcune fonti restarono uccisi 108 egiziani.
Piazza Tahrir quattro anni dopo. Ancora un bollettino di guerra in quella che doveva essere una giornata di commemorazione della rivolta del 25 gennaio 2011, quando migliaia di egiziani scesero in piazza per chiedere la democrazia, e un nuovo Egitto. Ufficialmente il governo di Al-Sisi nei giorni scorsi aveva vietato la manifestazione a causa del lutto nazionale per la morte del re saudita Abdullah, quindi gli attivisti sapevano che non sarebbe stato facile sfilare per la città. Ma i numeri del massacro, confermati dai media e dal Ministero della Salute, sono da brividi: almeno 23 morti e un centinaio di feriti, caduti sotto la mano pesante della polizia. Scontri anche ad Alessandria e in altri piccoli centri. In piazza, tra gli altri, sono scesi anche movimenti giovanili come quello del “6 Aprile” e gruppi di Fratelli Musulmani; uno di loro sarebbe rimasto ucciso proprio ad Alessandria.
E a gettare benzina sul fuoco, da un lato la notizia della scarcerazione dei due figli di Mubarak, detenuti per corruzione, e dall’altro l’uccisione praticamente in diretta della giovane Shaimaa el Sabagh, leader del piccolo partito “Alleanza popolare socialista”, raggiunta da proiettili di gomma mentre marciava e deponeva fiori in onore dei martiri del 25 gennaio 2011. Il Ministero dell’Interno ha negato di averla colpita a morte, ma solo ferita e trasportata in ospedale dove poi sarebbe deceduta, ma il Procuratore di Stato egiziano ha aperto un’inchiesta sull’incidente. «È inaccettabile che venga ancora versato il sangue di egiziani che vogliono esprimere le loro vedute pacificamente, quattro anni dopo la gloriosa rivoluzione» – ha dichiarato l’ex presidente candidato, Hamdeen Sabahi.
Il governo egiziano ha fatto di tutto per boicottare l’adunata, prima transennando rigorosamente l’area attorno alla piazza, poi proclamando addirittura il 25 gennaio giorno di vacanza, per “svuotare” i dintorni del centro città. Ma i gruppi di attivisti sono riusciti ugualmente a manifestare, a proprio rischio e pericolo, al grido di «pane, libertà e giustizia sociale». Le agenzie di stampa riferiscono di scontri a fuoco, ordigni rudimentali costruiti ai lati delle strade e lacrimogeni usati in grandi quantità. Oltre che con la polizia, il quotidiano “Egypt Today” parla di tafferugli che hanno coinvolto alcuni sostenitori di Al-Sisi e altri dei Fratelli Musulmani.
La democrazia è ancora lontana dalla realtà egiziana, sebbene i riflettori mediatici si siano spenti sul Paese e sulle sue contraddizioni. Proprio qualche giorno fa, l’attuale Presidente Al-Sisi aveva giustificato la dura legge anti-manifestazioni del novembre 2013 e la sospensione dello Stato di diritto come conseguenza cautelativa dovuta all’allarme terrorismo islamico. Il leader ribadisce da tempo che «l’Egitto non è pronto per la democrazia, ci vorranno una ventina di anni perché si compia la transizione post Mubarak. Una volta messo in sicurezza il Paese, la libertà fiorirà spontaneamente». Ma le richieste di giustizia sociale e libertà non c’entrano nulla con il pericolo terrorismo, o almeno non in Piazza Tahrir, non il 25 gennaio. La democrazia non può fiorire spontaneamente se continuerà ad essere repressa, o bloccata con la forza. Nel 2011, tra il 25 gennaio e l’11 febbraio, morirono circa ottocento persone. Ancora lo scorso anno, per il terzo anniversario di Piazza Tahrir, secondo alcune fonti restarono uccisi 108 egiziani.