Greta e Vanessa, luci e ombre sul sequestro
di Giovanni Giacalone | 19 Gen 2015Aggiungi questo articolo al tuo Magazine su Flipboard
Greta Ramelli e Vanessa Marzullo sono tornate sane e salve. Eppure sul loro rilascio resta più di un’ombra che ha diviso in modo netto e quasi calcistico opinione pubblica e giornalisti. Ad essere poco chiare anche le reali motivazioni del viaggio, con una ridda di leak, indiscrezioni, articoli prima pubblicati e poi smentiti, oltre alla notizia diffusa poco dopo la liberazione sul probabile pagamento di un riscatto, di oltre 12 milioni di euro.
E il riscatto – se è stato pagato, il governo smentisce – sarebbe comunque in linea con il modus operandi italiano che da sempre dà la priorità alla vita dell’ostaggio. Dodici milioni, secondo la stampa araba giunti in Siria senza troppe difficoltà.
Le ragazze sarebbero state prigioniere di Jabhat al-Nusra che, tramite un suo esponente, Abu Fadel aveva fatto sapere: “E’ vero, abbiamo le due donne italiane… perché il loro Paese sostiene tutti gli attacchi contro di noi in Siria”.
Sulle reali motivazioni del “viaggio” in Siria di Greta e Vanessa, ho provato nei giorni scorsi a far luce un articolo del Fatto quotidiano, che pubblicava una presunta informativa del ROS secondo cui le due ragazze avrebbero portato in Siria aiuti per l’Esercito Siriano Libero. Il tempo necessario a che la notizia si diffondesse ed è arrivata la smentita da parte della Procura.
Le due cooperanti sembra però non fossero neutrali e che il loro aiuto includesse anche la distribuzione di “kit di salvataggio” destinati ai combattenti islamisti anti-Assad.
Fonti russe hanno recentemente messo in evidenza alcuni strani aspetti del caso Ramelli-Marzullo; in una foto di una manifestazione anti-Assad tenutasi in Italia, le due ragazze appaiono con un cartello scritto in arabo: “Agli eroi di Liwa Shuhada, grazie per l’ospitalità e se Dio vuole vedremo la città di Idlib libera quando ritorneremo”. Cosa significa quella frase? Le due volontarie sono forse state ospitate dalla fazione Liwa Shuhada nel loro primo viaggio in Siria?
Liwa Shuhada Badr viene indicato come gruppo di fanatici tagliagole, presente nella zona di Aleppo e dedito a saccheggi e altri crimini contro i civili. La Liwa Shuhada controlla due centri di tortura soprannominati “Guantanamo” e “Abu Ghraib”, dove detengono avversari politici, militanti baathisti e civili rapiti nei quartieri settentrionali di Aleppo. Il gruppo terrorista è attivo nella lotta contro la locale popolazione di origine curda ed è noto per l’uso dei famigerati “cannoni inferno”, armi che lanciano grosse bombole di gas caricate di TNT, utilizzate contro i quartieri filo-Baath di Aleppo. Nel febbraio del 2014 Liwa Shuhada aveva fatto un accordo con Jaysh al-Muhajirin wal-Ansar, gruppo jihadista ad alta presenza di ceceni nel quale militano anche Abdulqarim al-Krimsky e Salahuddin Shishani.
Il comandante di Liwa Shuhada risulta essere Qalid bin Ahmad Siraj Ali (alias Qalid Hayani), tristemente noto in molte zone per le sue atrocità nei confronti di civili: esecuzioni di massa, stupri, razzie, estorsioni, omicidi, traffici di ogni genere. Tra le varie attività di Liwa Shuhada ci sono le razzie ai complessi industriali di Liramoun per appropriarsi di mezzi e macchinari che poi vengono rivenduti oltre il confine turco a cifre ridicole.
Nel novembre del 2013 il sito Al Monitor aveva reso noto che alcune milizie dell’Isis avevano cacciato dalla zona di Aleppo Hayani e la sua cricca che avrebbe a sua volta trovato rifugio nelle zone di Akan el Shababi e Bani Zied, sotto il controllo dei ribelli.
In un’intervista sempre di novembre 2013, un membro del Consiglio per la Sharia di Aleppo, Abdul Khalim al-Shishani, aveva confermato le razzie di Hayani presso le zone industriali aggiungendo che il capo di Liwa Shuhada aveva progressivamente smesso di interessarsi alla rivoluzione per mettere su un’organizzazione criminale che si arricchiva a discapito della popolazione locale. Il miliziano ceceno ha inoltre raccontato che l’organizzazione di Hayani metteva in atto anche sequestri di persona nei confronti della popolazione locale, con lo scopo di raccogliere fondi per poi finanziare le proprie attività.
In un’altra foto di piazza, a una delle tante manifestazioni a favore delle milizie anti-Assad, dove sono stati esposti anche slogan a favore del regime ucraino e contro la Russia, accanto al gruppo di Vanessa, appare Haisam Sakhan, già noto alle forze di sicurezza italiane per aver cercato di assaltare l’ambasciata siriana a Roma e che in Siria si è fatto riprendere in un video mentre prendeva parte alla brutale esecuzione di soldati governativi prigionieri dei jihadisti.
Inquietanti poi le amicizie su Facebook delle due volontarie, miliziani siriani tra cui un certo Abu Wessam, che sulla sua bacheca espone immagini degli sgozzamenti dei così detti “miscredenti” e Muhammed Issa, comandante delle Brigate dei martiri di Idlib, che in rete si fa fotografare davanti a una dozzina di corpi di nemici uccisi.
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