L'addio di Napolitano, tra luci e qualche ombra
Se ne va lasciandosi alle spalle il peso di un ruolo centrale durante la dura crisi che ha colpito l'Italia. Senza però dimenticare la firma del Lodo Alfano
di Virgilio Bartolucci | 15 Gen 2015Aggiungi questo articolo al tuo Magazine su Flipboard
IL 150 ESIMO DELL’UNITA’ D’ITALIA. Nel 2011 si adopera con tutte le forze per le celebrazioni del 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia, i suoi discorsi al pari dei suoi numerosissimi “moniti” – ormai entrati nel lessico comune anche grazie a Crozza che ne realizza una parodia memorabile – si susseguono in piazze e palazzi rimbalzando su giornali e tv. Parole che tentano di rivitalizzare un sentimento unitario su cui anche gli storici nutrono sempre più dubbi e distinguo, a volte pronunciate con quella commozione umana propria dell’anziano e sconosciuta al personaggio politico esperto.
IL CASO MONTI. Nello stesso anno, però, arriva il colpo di scena che, secondo alcuni, è in realtà frutto di una congiura decisa a tavolino per rimpiazzare Berlusconi, ormai bollito e sbeffeggiato dal tandem Merkel-Sarkozy, con Mario Monti. Napolitano è l’uomo che realizza il cambio di potere con il professore della Bocconi, prima nominandolo senatore a vita e poi consegnandogli le chiavi di palazzo Chigi. In quel momento l’Italia sembra essere prossima a naufragare sugli scogli dello spread. Accerchiato, Berlusconi è costretto alla resa. Di fatto è Napolitano a dare il via libera alla ricetta lacrime e sangue attuata dal tecnocrate Monti, uomo già al servizio delle banche americane e della Commissione europea, oltre che membro eminente di “misteriosi” organismi sovranazionali come la Trilaterale. All’epoca accolto come un mezzo salvatore.
I GOVERNI DEL PRESIDENTE. È con Monti che Napolitano imbocca la strada di un decisionismo che, secondo i più critici, metterebbe in pratica un disegno personale diretto a sostituire la centralità del Parlamento con un “presidenzialismo di fatto”. Un attentato alla democrazia, un’usurpazione del potere popolare operato da un Capo dello Stato che vedrebbe come fumo negli occhi chiunque non è allineato al suo volere, ribadito nell’espressione di governi del Presidente retti con l’imposizione di larghe intese per molti versi inaccettabili.
Accadrà ancora dopo le politiche del 2013 e il fallimento del tentativo Bersani. Prima con Enrico Letta, stimato difeso e sostenuto a spada tratta, ma poi, a sorpresa, improvvisamente rimpiazzato con il “rottamatore” Matteo Renzi. L’ex sindaco di Firenze fino a un certo punto frenato se non avversato, e ottiene il permesso di sgambettare “a tradimento” il compagno di partito.
È proprio Napolitano a dare il via libera a Renzi, concedendo a tutti i partiti tradizionali di scampare a un nuovo voto – che, prima della consacrazione delle Europee, appare carico di fosche incognite -, in cambio un governo in realtà privo di una vera opposizione.
di Virgilio Bartolucci | 15 Gen 2015Aggiungi questo articolo al tuo Magazine su Flipboard
IL 150 ESIMO DELL’UNITA’ D’ITALIA. Nel 2011 si adopera con tutte le forze per le celebrazioni del 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia, i suoi discorsi al pari dei suoi numerosissimi “moniti” – ormai entrati nel lessico comune anche grazie a Crozza che ne realizza una parodia memorabile – si susseguono in piazze e palazzi rimbalzando su giornali e tv. Parole che tentano di rivitalizzare un sentimento unitario su cui anche gli storici nutrono sempre più dubbi e distinguo, a volte pronunciate con quella commozione umana propria dell’anziano e sconosciuta al personaggio politico esperto.
IL CASO MONTI. Nello stesso anno, però, arriva il colpo di scena che, secondo alcuni, è in realtà frutto di una congiura decisa a tavolino per rimpiazzare Berlusconi, ormai bollito e sbeffeggiato dal tandem Merkel-Sarkozy, con Mario Monti. Napolitano è l’uomo che realizza il cambio di potere con il professore della Bocconi, prima nominandolo senatore a vita e poi consegnandogli le chiavi di palazzo Chigi. In quel momento l’Italia sembra essere prossima a naufragare sugli scogli dello spread. Accerchiato, Berlusconi è costretto alla resa. Di fatto è Napolitano a dare il via libera alla ricetta lacrime e sangue attuata dal tecnocrate Monti, uomo già al servizio delle banche americane e della Commissione europea, oltre che membro eminente di “misteriosi” organismi sovranazionali come la Trilaterale. All’epoca accolto come un mezzo salvatore.
I GOVERNI DEL PRESIDENTE. È con Monti che Napolitano imbocca la strada di un decisionismo che, secondo i più critici, metterebbe in pratica un disegno personale diretto a sostituire la centralità del Parlamento con un “presidenzialismo di fatto”. Un attentato alla democrazia, un’usurpazione del potere popolare operato da un Capo dello Stato che vedrebbe come fumo negli occhi chiunque non è allineato al suo volere, ribadito nell’espressione di governi del Presidente retti con l’imposizione di larghe intese per molti versi inaccettabili.
Accadrà ancora dopo le politiche del 2013 e il fallimento del tentativo Bersani. Prima con Enrico Letta, stimato difeso e sostenuto a spada tratta, ma poi, a sorpresa, improvvisamente rimpiazzato con il “rottamatore” Matteo Renzi. L’ex sindaco di Firenze fino a un certo punto frenato se non avversato, e ottiene il permesso di sgambettare “a tradimento” il compagno di partito.
È proprio Napolitano a dare il via libera a Renzi, concedendo a tutti i partiti tradizionali di scampare a un nuovo voto – che, prima della consacrazione delle Europee, appare carico di fosche incognite -, in cambio un governo in realtà privo di una vera opposizione.