Parigi in piazza contro l'orrore: le voci e le testimonianze
di Francesco Ruffinoni
PARIGI – Ieri, a Parigi, c’era un cielo incerto e un freddo sferzante. Pure le nuvole, grigie e minacciose, non hanno risparmiato qualche goccia di pioggia. Ma due milioni di cittadini nonostante tutto, ben consapevoli del rischio di scendere in piazza in questi giorni di lutto e terrore, non si sono fatti intimorire.
Né ci sono parole per esprimere la forza trasmessa dai manifestanti parigini nell’onorare i morti e la libertà repubblicana: una folla completamente galvanizzata dalla pietà e, al contempo, entusiasta, felice nel ritrovarsi insieme, in cammino verso Place de la République. Da capitale di Francia, parafrasando il presidente Hollande, Parigi si trasforma, dunque, nella capitale del mondo. Cristiani, ebrei, musulmani, agnostici, atei: tutti in marcia, fra musica e colori, per affermare, ancora una volta, solidarietà, fratellanza e diritto; per difendere quel che resta di umano in una città offesa, barbaramente colpita dalla violenza della scorsa settimana. Tante le bandiere che, assieme al tricolore nazionale, si sono mescolate agli slogan, ai cartelloni, alle voci e tanti i volti che, con orgoglio, hanno sfilato per la via, accompagnati, a tratti, dalla musica di John Lennon e dalle canzoni del folclore francese.
Ma chi sono questi visi, soprattutto giovani, che hanno animato, ieri, la marche républicaine? Non tutti sono parigini e, molti, non sono nemmeno francesi. «Trovo importante unirmi ai miei compatrioti per mostrare che noi francesi non ci sottomettiamo alla paura e alla psicosi e per ricordare le vittime di questi giorni», dice Brice, 24 anni, studente presso Paris 8, ma originario della Champagne. Dello stesso parere Brigitte, 28 anni, austriaca, assistente di lingua tedesca presso il liceo Janson de Sailly: «Sono qui per dare un segno, per essere solidale con le vittime del terrorismo, ma, soprattutto, per dire sì alla libertà di espressione. Se perdiamo questa libertà, perdiamo qualcosa di fondamentale e profondo. Dobbiamo batterci per questo».
Anche Lara, 23 anni, spagnola, nella capitale per motivi di lavoro, ne è convinta: «Non mi importa se le vignette sono offensive o meno, sono qui per la libertà». Più critica la risposta di Baya, 20 anni, parigina, padre berbero, madre italiana, studentessa in Lettere presso la Sorbona: «Manifesto per difendere i valori repubblicani, ovvero Liberté, Égalité, Fraternité e perché, per quanto trovassi la satira di Charlie Hebdo offensiva, niente giustifica quello che i fratelli Kouachi hanno fatto. Una cosa, però, voglio aggiungerla: da quando Charlie Hebdo ha cominciato a fare caricature su Maometto il numero di copie vendute è aumentato, è per questo che i disegnatori hanno continuato a fare satira quasi ed esclusivamente sull’Islam. Ma la gente, riguardo a questo, preferisce tacere, come tace del resto su quel che accadde a Maurice Sinet». Anche diversi italiani hanno partecipato alla marcia, come Mario, 29 anni, ingegnere: «Lavoro a Parigi da due anni ormai. Mi sembrava giusto essere qui, oggi».
Al di là delle sfumature di pensiero, comunque, quel che si è visto a Parigi è stato un successo, qualcosa di unico, di grande, di storico: uomini e donne, vincendo la paura, sono scesi per le strade, in piazza, per ribadire il diritto alla parola, per affermare come la satira, anche se irriguardevole, non possa essere incatenata o, peggio, soffocata nel sangue. Questa la voce delle genti libere, questa la Francia, questo il grande terremoto di ieri che, dopotutto, si spera abbia causato le giuste scosse anche in certe menti depravate che, ancora, pensano di zittire le persone con minacce e proiettili.