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Diritto di critica | November 23, 2024

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Quelle radici nascoste del terrorismo islamico

L’ANALISI – Gli attentati di Parigi alla redazione di Charlie Hebdo e al supermercato kosher hanno sollevato nuove questioni per quanto riguarda l’evoluzione del terrorismo internazionale di matrice islamista, in particolare sulle caratteristiche degli attentatori, sulle modalità operative, sulle strutture dei vari network e persino sulla competitività tra organizzazioni terroriste come al-Qaeda e Isis.

Vi è poi un discorso prettamente legato al fenomeno religioso; in molti casi si è detto che l’Islam non c’entra e che non è corretto definirlo “terrorismo islamico”, ma fino a che punto è vero?

L’Islam certamente non è una religione che alimenta il terrorismo e senza ombra di dubbio la stragrande maggioranza dei musulmani è pacifica, tanto più che gran parte delle vittime dell’estremismo islamico sono i musulmani stessi, come dimostrano le carneficine in Pakistan, Iraq, Siria, Yemen, Nigeria, Somalia, Libia, giusto per citarne alcune, ma come dimostra anche la stessa storia dell’Islam.

Bisogna poi tener presente che l’Islam non è, e non è mai stato un blocco monolitico, ma include al proprio interno diverse correnti in base alle differenze culturali, sociali, politiche, a seconda del contesto di riferimento e diverse interpretazioni teologico-dottrinarie e giuridiche. Non esiste nell’Islam un’autorità centrale in grado di dettare leggi e regole universalmente accettate dall’intera “ummah” a livello globale ed è anche per questo motivo che molti aspetti della religione islamica sono spesso oggetto di dibattito tra gli studiosi.

All’interno di questo pluralismo vi sono anche gruppi che interpretano la religione in modo fanatico e radicale, rifiutando qualsiasi tipo di interpretazione che non sia la loro, accusando di miscredenza chiunque non la pensi come loro e non si tratta di un fenomeno di recente nascita; basta pensare alla storia della setta kharigita, nata nel VII secolo in un territorio che fa oggi parte dell’Iraq. Il loro motto era “ḥokma illā li-llāh” (il giudizio spetta soltanto a Dio); il problema è che erano poi loro ad auto conferirsi l’autorità di decidere per Dio, in quanto ritenutisi unici depositari della conoscenza divina. Oltre ad accusare tutti i loro oppositori di miscredenza, consideravano i peccatori decaduti dallo status di musulmani e in entrambi i casi ne era lecita l’uccisione.

Questo tipo di pensiero fu ripreso negli anni ’60 da Said Qutb, a quel tempo leader dei Fratelli Musulmani e ideologo del moderno jihadismo, il quale riprese il concetto kharigita di “ḥokma illā li-llāh”, denominandolo “hakimiyya” (sovranità esclusiva di Allah) e accusando di miscredenza (takfir) tutti coloro che riteneva colpevoli di non seguire alla lettera la legge divina. Suo fratello Muhammad, fuggito in Arabia Saudita per scampare all’arresto, sviluppò ulteriormente l’ideologia del fratello, mescolandola al puritanesimo wahhabita tipico dell’Arabia Saudita, in un periodo in cui il rapporto tra wahhabismo e Fratelli Musulmani era strettissimo. Per dirla con le parole dello scrittore al-Aswani:

Nel mio Paese, alla fine degli anni Settanta, la maggior parte dei musulmani erano tolleranti. Chi si dichiarava apertamente “non credente” non aveva problemi. Negli anni Trenta fu pubblicato un famoso libro intitolato “Perché sono ateo?”, di Ismail Adham. Fu distribuito, venduto. La reazione? Un autore religioso replicò con un altro libro: “Perché credo in Dio”. Eravamo musulmani anche allora. Il problema non è l’Islam, è l’Islam wahhabita: questa è la base ideologica del terrorismo. I wahhabiti considerano infedeli non solo i cristiani e gli ebrei, ma anche i musulmani liberal che non condividono le loro idee: anzi i musulmani progressisti sono anche più odiati, perché possono avere un’influenza maggiore su altri musulmani“.

Said Qutb svolse dunque un ruolo di primo piano nella diffusione del jihadismo, tanto che il suo testo “Pietre Miliari” veniva distribuito da Bin Laden, a Peshawar, a tutti i nuovi mujahideen e divenne ispirazione per tutto l’Islam radicale, tra cui i più noti predicatori come Omar Abdel-Rahman (leader della Gama al-Islamiyya egiziana), Muhammad Omar Bakri, Abu Hamza (condannato all’ergastolo per terrorismo due giorni fà da un tribunale di New York), Anwar Awlaki e Abu Qatada.

Altro predicatore che ha ampiamente contribuito a tale ideologia, in contesto indo-pakistano, è Abul Alaa Maudoodi, fondatore del partito islamista Jamaat e-Islami. Maudoodi ideò il concetto di “teo-democrazia”, considerata incompatibile con il concetto occidentale e secolare di democrazia. Per l’autore i musulmani non erano poi autorizzati a convertirsi ad altri credi e le altre religioni non dovevano essere diffuse. Nel testo “Jihad Fi Sabillilah”, Maudoodi afferma che l’obiettivo della jihad è eliminare i governi non-islamici per sostituirli con un dominio islamico. L’Islam ha inoltre l’obiettivo di una conquista universale, non limitata a un singolo paese.

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