La (in)coerenza di Pippo Civati
IL GRAFFIO - Uno dei leader della minoranza Pd vota contro il Job Act. Peccato che nel 2009 aveva firmato una mozione a favore del superamento dell'articolo 18
E Civati vota no. Erano tanto amici, lui e il premier. Alla Leopolda di qualche anno fa sembravano disposti a scardinare un Pd stantio e con tante vecchie facce, un partito incapace di proporsi come vera forza riformatrice di questo Paese. poi Pippo è cambiato. Addio alla Leopolda e tanta polemica. Che dietro ci sia un problema politico o una questione di opportunità non sta a noi giudicare. Ma è certo che il suo è un comportamento a dir poco strano.
Certi progetti di riforma Civati li ha da sempre condivisi con Matteo Renzi. Un punto centrale su cui i due sono sempre andati d’accordo: la riforma del mercato del lavoro con la conseguente modifica dei sussidi per chi perde il posto. Era il lontano 2009. Renzi era stato appena eletto sindaco di Firenze. Il Pd è in preda alla febbre da primarie. Si vota il nuovo segretario del partito dopo le dimissioni di Walter Veltroni e la reggenza di Dario Franceschini. Si candida il segretario uscente, Pierluigi Bersani e Ignazio Marino, attuale sindaco di Roma. Ad appoggiare Marino c’è Pippo Civati che è tra i firmatari della mozione che sosteneva la candidatura del medico-politico. Eccone un breve stralcio:
La flessibilità, caratteristica inevitabile del lavoro nella nostra modernità, non va considerata come una disgrazia. Quello che i giovani temono sono disoccupazione e precariato privo di regole, percepiscono l’iniquità di un mercato del lavoro che vede gomito a gomito lavoratori protetti e lavoratori talvolta privi anche di diritti elementari quali la malattia, la maternità, le ferie.
Una flessibilità bilanciata, quindi, è il nostro valore per regolare il mercato del lavoro: contratti a tempo indeterminato che consentano un rapporto continuativo e tendenzialmente stabile con il datore di lavoro; salario minimo e garanzie di reddito come protezione per chi perde il lavoro; formazione continua per aumentare il proprio bagaglio e il proprio valore professionale.
Prendiamo atto che ha cambiato idea.
E Civati vota no. Erano tanto amici, lui e il premier. Alla Leopolda di qualche anno fa sembravano disposti a scardinare un Pd stantio e con tante vecchie facce, un partito incapace di proporsi come vera forza riformatrice di questo Paese. poi Pippo è cambiato. Addio alla Leopolda e tanta polemica. Che dietro ci sia un problema politico o una questione di opportunità non sta a noi giudicare. Ma è certo che il suo è un comportamento a dir poco strano.
Certi progetti di riforma Civati li ha da sempre condivisi con Matteo Renzi. Un punto centrale su cui i due sono sempre andati d’accordo: la riforma del mercato del lavoro con la conseguente modifica dei sussidi per chi perde il posto. Era il lontano 2009. Renzi era stato appena eletto sindaco di Firenze. Il Pd è in preda alla febbre da primarie. Si vota il nuovo segretario del partito dopo le dimissioni di Walter Veltroni e la reggenza di Dario Franceschini. Si candida il segretario uscente, Pierluigi Bersani e Ignazio Marino, attuale sindaco di Roma. Ad appoggiare Marino c’è Pippo Civati che è tra i firmatari della mozione che sosteneva la candidatura del medico-politico. Eccone un breve stralcio:
La flessibilità, caratteristica inevitabile del lavoro nella nostra modernità, non va considerata come una disgrazia. Quello che i giovani temono sono disoccupazione e precariato privo di regole, percepiscono l’iniquità di un mercato del lavoro che vede gomito a gomito lavoratori protetti e lavoratori talvolta privi anche di diritti elementari quali la malattia, la maternità, le ferie.
Una flessibilità bilanciata, quindi, è il nostro valore per regolare il mercato del lavoro: contratti a tempo indeterminato che consentano un rapporto continuativo e tendenzialmente stabile con il datore di lavoro; salario minimo e garanzie di reddito come protezione per chi perde il lavoro; formazione continua per aumentare il proprio bagaglio e il proprio valore professionale.
Prendiamo atto che ha cambiato idea.
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Prendiamo atto che Paolo Ribichini, in buona compagni di Scalfarotto o non sa leggere oppure gli fa comodo leggere come preferisce. In entrambi i casi non ci fa una belle figura
basta leggere qua :
http://www.lettera43.it/politica/jobs-act-scalfarotto-contro-i-dissidenti_43675149051.htmRibichini, Civati ha un difetto gravissimo, è coerente. Un concetto assai oscuro per Renzi e comunque il toscano punta sulla poca memoria degli italiani visto che oggi dice che l’astensione è un problema secondario mentre qualche tempo fa gridava:
2010 – marzo. Regionali vinte dal PD, segretario Bersani
“L’astensione è la vera vincitrice delle elezioni. Il partito di maggioranza relativa di questo paese è il partito di chi si astiene o vota scheda bianca o nulla. Su questo tutti dobbiamo riflettere”l voto in Sicilia nell’ottobre 2012.”Chi gridasse al trionfo e stappasse champagne farebbe un errore: abbiamo vinto però c’è stata un’astensione strabiliante che supera la maggioranza assoluta”.
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Sarà… ma carta canta e nell’articolo di lettera43 i civatiani si giustificano utilizzando argomenti fasulli: “Noi eravamo per le tutele crescenti che permettessero dopo alcuni anni al lavoratore di usufruire della protezione dell’art.18”, spiegano. Ma in quale documento del 2009 sta scritto?
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