Ecco i nuovi proletari, con la partita iva
Dimenticati da tutti, sindacati compresi, gli autonomi sono lavoratori senza alcun diritto. Ma con il nuovo regime dei minimi qualcosa può cambiare
I nuovi proletari sono loro. Quelli che aprono la partita iva e si arrangiano. Quelli che lavorano in ufficio, hanno email aziendali e una scrivania ma non hanno altro. Non hanno ferie, non hanno giorni di malattia. Pagati a ore, senza un contratto scritto; senza diritti. Sono i cosiddetti autonomi, lavoratori anche loro. Ma rappresentati da nessuno. Insomma, di serie B, perché senza diritti e perché non riconosciuti da alcun sindacato.
Fatturano, pagano le tasse ma sono fantasmi. Alcuni fatturano 1.800 euro al mese, ma poi con le tasse non rimane loro che 800-900 euro. Hanno 30, 40, anche 50 anni, proletari nel senso più letterale del termine: senza un progetto di vita, al massimo con una casa di proprietà ereditata (perché a loro il mutuo non lo fa nessuno) e una macchina sgangherata. Se si ammalano non fatturano, se si fermano un giorno non guadagnano. E pagano all’Inps il 27% di ciò che guadagnano, senza ricevere nulla in cambio. Così, niente ferie e una vita da schiavi, ma autonomi.
Diventare imprenditori di se stessi. Qualcuno lo fa per scelta, moltissimi per necessità. Molti laureati ma anche tanti diplomati che, di fronte alle esigenze del mercato, non si sono fermati, ma si sono trasformati in “imprenditori di se stessi”. Producono 24 miliardi di Pil, assicurano alla signora Inps un gettito di quasi 6 miliardi, ma guadagnano individualmente circa 10mila euro l’anno.
I giovani “a partita iva”. A rimpinguare le fila degli autonomi i tanti giovani che sono entrati nel mondo del lavoro togliendosi dalla testa il sogno del posto fisso. Prima avevano contratti a progetto ma la riforma Fornero che aumentato loro gli introiti, li ha di fatto spinti verso il lavoro nero e verso le finte partite iva, senza alcun controllo da parte degli ispettori del lavoro.
Il nuovo regime dei minimi. Ora, per loro, l’unica chance è il regime dei minimi. L’attuale sistema consente a coloro che hanno meno di 35 anni di usufruire di una partita iva “light”: via l’iva (che diventa un costo), via l’Irpef e sì ad un’imposta sostitutiva del 5%, mentre le spese “professionali” si detraggono dall’imponibile al 50 o al 100% (in base alla tipologia di spesa), per un massimo di 30mila euro di fatturato annuo. Il Job Act, in via di approvazione alle Camere, prevede una modifica a questa tipologia. Se approvato, dal 2015, il nuovo regime dei minimi avrà un’imposta sostitutiva al 15% per tutti, anche per chi ha più di 35 anni e con un fatturato massimo di 15mila euro annui per i professionisti e 40mila per i commercianti. Una piccola boccata d’ossigeno per chi finora era rimasto invisibile. Anche se non basta questo per arginare la sempre più diffusa precarizzazione del lavoro.
I nuovi proletari sono loro. Quelli che aprono la partita iva e si arrangiano. Quelli che lavorano in ufficio, hanno email aziendali e una scrivania ma non hanno altro. Non hanno ferie, non hanno giorni di malattia. Pagati a ore, senza un contratto scritto; senza diritti. Sono i cosiddetti autonomi, lavoratori anche loro. Ma rappresentati da nessuno. Insomma, di serie B, perché senza diritti e perché non riconosciuti da alcun sindacato.
Fatturano, pagano le tasse ma sono fantasmi. Alcuni fatturano 1.800 euro al mese, ma poi con le tasse non rimane loro che 800-900 euro. Hanno 30, 40, anche 50 anni, proletari nel senso più letterale del termine: senza un progetto di vita, al massimo con una casa di proprietà ereditata (perché a loro il mutuo non lo fa nessuno) e una macchina sgangherata. Se si ammalano non fatturano, se si fermano un giorno non guadagnano. E pagano all’Inps il 27% di ciò che guadagnano, senza ricevere nulla in cambio. Così, niente ferie e una vita da schiavi, ma autonomi.
Diventare imprenditori di se stessi. Qualcuno lo fa per scelta, moltissimi per necessità. Molti laureati ma anche tanti diplomati che, di fronte alle esigenze del mercato, non si sono fermati, ma si sono trasformati in “imprenditori di se stessi”. Producono 24 miliardi di Pil, assicurano alla signora Inps un gettito di quasi 6 miliardi, ma guadagnano individualmente circa 10mila euro l’anno.
I giovani “a partita iva”. A rimpinguare le fila degli autonomi i tanti giovani che sono entrati nel mondo del lavoro togliendosi dalla testa il sogno del posto fisso. Prima avevano contratti a progetto ma la riforma Fornero che aumentato loro gli introiti, li ha di fatto spinti verso il lavoro nero e verso le finte partite iva, senza alcun controllo da parte degli ispettori del lavoro.
Il nuovo regime dei minimi. Ora, per loro, l’unica chance è il regime dei minimi. L’attuale sistema consente a coloro che hanno meno di 35 anni di usufruire di una partita iva “light”: via l’iva (che diventa un costo), via l’Irpef e sì ad un’imposta sostitutiva del 5%, mentre le spese “professionali” si detraggono dall’imponibile al 50 o al 100% (in base alla tipologia di spesa), per un massimo di 30mila euro di fatturato annuo. Il Job Act, in via di approvazione alle Camere, prevede una modifica a questa tipologia. Se approvato, dal 2015, il nuovo regime dei minimi avrà un’imposta sostitutiva al 15% per tutti, anche per chi ha più di 35 anni e con un fatturato massimo di 15mila euro annui per i professionisti e 40mila per i commercianti. Una piccola boccata d’ossigeno per chi finora era rimasto invisibile. Anche se non basta questo per arginare la sempre più diffusa precarizzazione del lavoro.