L'agonia dell'Opera di Roma, metafora di un Paese
Licenziati in tronco orchestra e coro del teatro diretto fino a qualche giorno fa da Riccardo Muti. E all'Eliseo a ottobre arriva lo sfratto
IL GRAFFIO – Licenziati in 182 su 460, coro e orchestra del Teatro dell’Opera di Roma. Dopo l’addio del maestro Riccardo Muti, arrivano le “esternalizzazioni”. Il Maestro, forse intuendo quanto stava per accadere, ha lasciato il timone del teatro e oggi il Cda ha preso una decisione più unica che rara: licenziare in tronco il coro e gli strumentisti di uno dei teatri più famosi del mondo.
Viene da chiedersi in quali condizioni versi realmente un Paese capace di lasciar crollare gioielli internazionali come Pompei o licenziare in blocco artisti che tutto il mondo ci invidia, come lo sono coro e orchestra dell’Opera di Roma. La scusa, il paravento, è la paventata “spending review“. Ma di artistico in queste due parole fin troppo spesso utilizzate in modo tecnico per coprire il dramma di un Paese ormai ingestibile, c’è ben poco. E mentre da ogni parte si sente parlare di “crisi dei teatri”, l’impressione è che li si sia dati ormai per morti, come se si trattasse di un settore decaduto, abbandonato, un peso inutile.
“Coro e orchestra – ha detto il sovrintendente – costano 12 milioni e mezzo l’anno. Il risparmio previsto è di 3,4 milioni con l’esternalizzazione. Abbiamo ragionato in termini di funzionalità e di effetto economico, è una decisione indipendente dalle sigle sindacali e non c’è alcuna intenzione ritorsiva, è quasi offensivo pensarlo”. Gli ha fatto eco il Ministro Franceschini: “Un passaggio doloroso ma necessario per salvare l’Opera di Roma e ripartire”. Ripartire da cosa? Da una qualche società o cooperativa di artisti chiamata a sostituire chi costava troppo? E con quali garanzie? Ad ogni modo sembra che sia proprio questa la strada intrapresa – anche qui pare che i decisori si siano premurati di cercare qualche paragone europeo da sbandierare davanti ai media – “la chiusura della fase di licenziamento collettivo – ha aggiunto il sovrintendente – prevede di individuare un soggetto col quale svolgere un servizio di orchestra e di coro. Non vogliamo chiudere i rapporti con gli artisti e i musicisti che ne fanno attualmente parte quindi auspichiamo che si riuniscano e fondino un soggetto sulla base della qualità artistica”. Come dire: remi in barca, organizzatevi così se possibile vi richiamiamo. Ma noi intanto lasciamo l’equipaggio nel porto. E se non dovesse piacere questa soluzione, la fila per lavorare con l’Opera di Roma sarà sicuramente popolata.
I sindacati, come ovvio, non l’hanno presa bene. Anche se dovrebbero interrogarsi sul proprio ruolo in questo muro contro muro. “E’ un licenziamento ingiustificato e discriminatorio – ha spiegato Marco Piazzai, segretario del sindacato Fials-Cisal e primo trombone dell’Opera – c’è un progetto di smantellamento del Teatro dell’Opera. E forse Muti l’aveva capito e per questo se n’è andato. Ma siamo pronti a impugnare la decisione”.
Sindacati a parte, la situazione dei teatri storici della Capitale non è rosea. Solo per citare un altro esempio, a qualche centinaio di metri dall’Opera c’è un altro teatro che rischia di chiudere i battenti, l’Eliseo e il Piccolo Eliseo. Da mesi i lavoratori sono in agitazione e il 14 ottobre prossimo un ufficiale giudiziario metterà i sigilli a quello che è considerato una delle istituzioni di Roma. A rischio, in questo caso, secondo i sindacati sono mille persone.
E mentre il capo del governo, Matteo Renzi, parla di riforme, vola nella Silicon Valley, incontra Google, Twitter e tutti gli smanettoni tecnologici, il suo Paese rischia di perdere i migliori gioielli che l’hanno reso famoso nel mondo. Qualche giorno fa, Francesco Merlo su Repubblica scriveva parole sacrosante: “La fuga di Riccardo Muti dall’Opera di Roma arretra l’Italia come le sconfitte della Ferrari, il fallimento dell’Alitalia, il tramonto della Fiat. E a Matteo Renzi dovrebbe stare più a cuore della mozzarella di Eataly e del gelato di Grom”. Si spera solo che il capo del governo italiano se ne renda conto. Fate presto.
IL GRAFFIO – Licenziati in 182 su 460, coro e orchestra del Teatro dell’Opera di Roma. Dopo l’addio del maestro Riccardo Muti, arrivano le “esternalizzazioni”. Il Maestro, forse intuendo quanto stava per accadere, ha lasciato il timone del teatro e oggi il Cda ha preso una decisione più unica che rara: licenziare in tronco il coro e gli strumentisti di uno dei teatri più famosi del mondo.
Viene da chiedersi in quali condizioni versi realmente un Paese capace di lasciar crollare gioielli internazionali come Pompei o licenziare in blocco artisti che tutto il mondo ci invidia, come lo sono coro e orchestra dell’Opera di Roma. La scusa, il paravento, è la paventata “spending review“. Ma di artistico in queste due parole fin troppo spesso utilizzate in modo tecnico per coprire il dramma di un Paese ormai ingestibile, c’è ben poco. E mentre da ogni parte si sente parlare di “crisi dei teatri”, l’impressione è che li si sia dati ormai per morti, come se si trattasse di un settore decaduto, abbandonato, un peso inutile.
“Coro e orchestra – ha detto il sovrintendente – costano 12 milioni e mezzo l’anno. Il risparmio previsto è di 3,4 milioni con l’esternalizzazione. Abbiamo ragionato in termini di funzionalità e di effetto economico, è una decisione indipendente dalle sigle sindacali e non c’è alcuna intenzione ritorsiva, è quasi offensivo pensarlo”. Gli ha fatto eco il Ministro Franceschini: “Un passaggio doloroso ma necessario per salvare l’Opera di Roma e ripartire”. Ripartire da cosa? Da una qualche società o cooperativa di artisti chiamata a sostituire chi costava troppo? E con quali garanzie? Ad ogni modo sembra che sia proprio questa la strada intrapresa – anche qui pare che i decisori si siano premurati di cercare qualche paragone europeo da sbandierare davanti ai media – “la chiusura della fase di licenziamento collettivo – ha aggiunto il sovrintendente – prevede di individuare un soggetto col quale svolgere un servizio di orchestra e di coro. Non vogliamo chiudere i rapporti con gli artisti e i musicisti che ne fanno attualmente parte quindi auspichiamo che si riuniscano e fondino un soggetto sulla base della qualità artistica”. Come dire: remi in barca, organizzatevi così se possibile vi richiamiamo. Ma noi intanto lasciamo l’equipaggio nel porto. E se non dovesse piacere questa soluzione, la fila per lavorare con l’Opera di Roma sarà sicuramente popolata.
I sindacati, come ovvio, non l’hanno presa bene. Anche se dovrebbero interrogarsi sul proprio ruolo in questo muro contro muro. “E’ un licenziamento ingiustificato e discriminatorio – ha spiegato Marco Piazzai, segretario del sindacato Fials-Cisal e primo trombone dell’Opera – c’è un progetto di smantellamento del Teatro dell’Opera. E forse Muti l’aveva capito e per questo se n’è andato. Ma siamo pronti a impugnare la decisione”.
Sindacati a parte, la situazione dei teatri storici della Capitale non è rosea. Solo per citare un altro esempio, a qualche centinaio di metri dall’Opera c’è un altro teatro che rischia di chiudere i battenti, l’Eliseo e il Piccolo Eliseo. Da mesi i lavoratori sono in agitazione e il 14 ottobre prossimo un ufficiale giudiziario metterà i sigilli a quello che è considerato una delle istituzioni di Roma. A rischio, in questo caso, secondo i sindacati sono mille persone.
E mentre il capo del governo, Matteo Renzi, parla di riforme, vola nella Silicon Valley, incontra Google, Twitter e tutti gli smanettoni tecnologici, il suo Paese rischia di perdere i migliori gioielli che l’hanno reso famoso nel mondo. Qualche giorno fa, Francesco Merlo su Repubblica scriveva parole sacrosante: “La fuga di Riccardo Muti dall’Opera di Roma arretra l’Italia come le sconfitte della Ferrari, il fallimento dell’Alitalia, il tramonto della Fiat. E a Matteo Renzi dovrebbe stare più a cuore della mozzarella di Eataly e del gelato di Grom”. Si spera solo che il capo del governo italiano se ne renda conto. Fate presto.
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