La secessione della Scozia? A rimetterci sarà Londra
Il 18 settembre gli scozzesi voteranno l'indipendenza. Se dovesse vincere il Sì, si tratterebbe di un salto nel buio per Edimburgo e un duro colpo per l'Inghilterra
Addio Union Jack. Addio Gran Bretagna. Il 18 settembre la Scozia voterà un referendum sull’indipedenza da Londra. Se dovesse vincere il Sì, dal 2016 la Scozia diverrà uno stato indipendente, pur mantenendo la Regina Elisabetta come sovrano. Così, dopo poco più di tre secoli d’unione tra Inghilterra e Scozia che aveva visto la nascita del Regno di Gran Bretagna e la comparsa dell’Union Jack dalla sovrapposizione delle due bandiere nazionali (Croce di San Giorgio e Croce di sant’Andrea), la Gran Bretagna potrebbe diventare esclusivamente un’espressione geografica.
Un referendum all’ultimo voto. Al momento, secondo gli ultimi sondaggi il fronte del Sì e quello del No sono appaiati al 40%. C’è ancora un 20% di indecisi che dovrà essere convinto. Ma, visto il recupero dei secessionisti negli ultimi mesi, a Londra si teme il peggio. Perché non si tratta solo di perdere una fetta importante del paese, ma in ballo ci sono aspetti economici, geopolitici e militari che potrebbero destabilizzare gli equilibri europei.
Questioni economiche. Se dovesse vincere il Sì, il Regno di Gran Bretagna e Irlanda del Nord dovrà cambiare nome. Poco male. I problemi seri, sotto il profilo interno, riguardano gli aspetti economici e militari. Circa il 90% dei pozzi petroliferi della Gran Bretagna nel Mare del Nord finirebbero sotto il controllo di Edimburgo. Ciò potrebbe provocare frizioni con Londra. C’è poi la questione della moneta. Gli indipendentisti vorrebbero utilizzare – almeno nei primi anni – la sterlina. Ma il governo britannico si oppone. La Scozia potrebbe allora optare, obtorto collo, per l’Euro. In ogni modo difficilmente il governo di Edimburgo riuscirà a contenere la fuga delle imprese verso l’Inghilterra, dove continuerebbero a godere di vantaggiosi crediti bancari.
Il problema delle armi nucleari. Sotto il profilo militare, la Scozia indipendente si dichiarerà “Stato denuclearizzato”. Così, le forze nucleari britanniche (in gran parte stanziate a Faslane, nei pressi di Glasgow) dovranno essere dislocate a sud con costi elevatissimi per il governo di Londra. Un problema non solo per Downing Street, ma anche per la Nato, in un’importante fase di nuovo dislocamento di forze in Europa in funzione anti-russa.
Il partito laburista nei guai. Problemi anche sotto il profilo della politica interna. Infatti, nel caso di secessione della Scozia, l’attuale partito laburista britannico rischia di essere condannato per molti anni all’opposizione. Infatti, questo partito ha finora ottenuto enormi consensi proprio in Scozia, che è tutt’ora una sua importante roccaforte.
Londra uscirebbe ridimensionata. La secessione scozzese potrebbe provocare anche ripercussioni internazionali. Infatti, questo referendum potrebbe rappresentare un precedente poco digeribile per tutti quei paesi in cui esistono movimenti autonomisti o indipendentisti. Il governo spagnolo ha fatto capire di non dare per scontato il suo Sì all’ingresso della Scozia nell’Unione europea. Proprio la Spagna, infatti, deve fare i conti con movimenti autonomisti e indipendenti che, seguendo l’esempio britannico, potrebbero rivendicare il diritto di autodeterminazione, mandando in mille pezzi il paese iberico. Ma il problema potrebbe riguardare anche la Francia con la Corsica, e l’Italia con l’Alto Adige ed eventualmente con il Veneto. Quello che è certo è che la secessione scozzese indebolirebbe Londra nel consesso internazionale, sia all’Onu (dove è oramai ingiustificabile il suo seggio permanente al Consiglio di Sicurezza) che in Europa, dove perderebbe seggi in Parlamento e voti in Consiglio.
L’ultimo atto dell’Impero di Sua Maestà. Insomma, se dovesse vincere il Sì si aprirebbe un periodo molto incerto per la Scozia (difficile dire se gli aspetti negativi saranno compensati da quelli positivi). Ma il danno maggiore potrebbe averlo il nuovo regno “successore” che subentrerà a quello di Gran Bretagna e Irlanda del Nord. Londra ne uscirà decisamente ridimensionata di fronte all’ultimo atto del lento ma inesorabile declino dell’Impero britannico.
Argomenti
scozia
Addio Union Jack. Addio Gran Bretagna. Il 18 settembre la Scozia voterà un referendum sull’indipedenza da Londra. Se dovesse vincere il Sì, dal 2016 la Scozia diverrà uno stato indipendente, pur mantenendo la Regina Elisabetta come sovrano. Così, dopo poco più di tre secoli d’unione tra Inghilterra e Scozia che aveva visto la nascita del Regno di Gran Bretagna e la comparsa dell’Union Jack dalla sovrapposizione delle due bandiere nazionali (Croce di San Giorgio e Croce di sant’Andrea), la Gran Bretagna potrebbe diventare esclusivamente un’espressione geografica.
Un referendum all’ultimo voto. Al momento, secondo gli ultimi sondaggi il fronte del Sì e quello del No sono appaiati al 40%. C’è ancora un 20% di indecisi che dovrà essere convinto. Ma, visto il recupero dei secessionisti negli ultimi mesi, a Londra si teme il peggio. Perché non si tratta solo di perdere una fetta importante del paese, ma in ballo ci sono aspetti economici, geopolitici e militari che potrebbero destabilizzare gli equilibri europei.
Questioni economiche. Se dovesse vincere il Sì, il Regno di Gran Bretagna e Irlanda del Nord dovrà cambiare nome. Poco male. I problemi seri, sotto il profilo interno, riguardano gli aspetti economici e militari. Circa il 90% dei pozzi petroliferi della Gran Bretagna nel Mare del Nord finirebbero sotto il controllo di Edimburgo. Ciò potrebbe provocare frizioni con Londra. C’è poi la questione della moneta. Gli indipendentisti vorrebbero utilizzare – almeno nei primi anni – la sterlina. Ma il governo britannico si oppone. La Scozia potrebbe allora optare, obtorto collo, per l’Euro. In ogni modo difficilmente il governo di Edimburgo riuscirà a contenere la fuga delle imprese verso l’Inghilterra, dove continuerebbero a godere di vantaggiosi crediti bancari.
Il problema delle armi nucleari. Sotto il profilo militare, la Scozia indipendente si dichiarerà “Stato denuclearizzato”. Così, le forze nucleari britanniche (in gran parte stanziate a Faslane, nei pressi di Glasgow) dovranno essere dislocate a sud con costi elevatissimi per il governo di Londra. Un problema non solo per Downing Street, ma anche per la Nato, in un’importante fase di nuovo dislocamento di forze in Europa in funzione anti-russa.
Il partito laburista nei guai. Problemi anche sotto il profilo della politica interna. Infatti, nel caso di secessione della Scozia, l’attuale partito laburista britannico rischia di essere condannato per molti anni all’opposizione. Infatti, questo partito ha finora ottenuto enormi consensi proprio in Scozia, che è tutt’ora una sua importante roccaforte.
Londra uscirebbe ridimensionata. La secessione scozzese potrebbe provocare anche ripercussioni internazionali. Infatti, questo referendum potrebbe rappresentare un precedente poco digeribile per tutti quei paesi in cui esistono movimenti autonomisti o indipendentisti. Il governo spagnolo ha fatto capire di non dare per scontato il suo Sì all’ingresso della Scozia nell’Unione europea. Proprio la Spagna, infatti, deve fare i conti con movimenti autonomisti e indipendenti che, seguendo l’esempio britannico, potrebbero rivendicare il diritto di autodeterminazione, mandando in mille pezzi il paese iberico. Ma il problema potrebbe riguardare anche la Francia con la Corsica, e l’Italia con l’Alto Adige ed eventualmente con il Veneto. Quello che è certo è che la secessione scozzese indebolirebbe Londra nel consesso internazionale, sia all’Onu (dove è oramai ingiustificabile il suo seggio permanente al Consiglio di Sicurezza) che in Europa, dove perderebbe seggi in Parlamento e voti in Consiglio.
L’ultimo atto dell’Impero di Sua Maestà. Insomma, se dovesse vincere il Sì si aprirebbe un periodo molto incerto per la Scozia (difficile dire se gli aspetti negativi saranno compensati da quelli positivi). Ma il danno maggiore potrebbe averlo il nuovo regno “successore” che subentrerà a quello di Gran Bretagna e Irlanda del Nord. Londra ne uscirà decisamente ridimensionata di fronte all’ultimo atto del lento ma inesorabile declino dell’Impero britannico.